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Jesus Rolls – Quintana è tornato!

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VOTO: 5.5

La ricerca della Felicità

Nella Storia del Cinema molto raramente ad un singolo personaggio sono stati sufficienti pochi secondi di visibilità per essere proiettati nell’empireo del culto. Ma basta riferirsi al celeberrimo Jesus Quintana interpretato da John Turturro nel mitico Il grande Lebowski (1998) dei fratelli Coen che la questione assume una fama universale e transgenerazionale. Un fuoriclasse del bowling, sicuramente feticista, probabilmente incline alla pedofilia nonché ballerino mancato nel solco della tradizione dei “looser” coeniani.
Sussisteva dunque grande curiosità nel vedere come John Turturro, senza alcuna complicità dei fratelli del Minnesota, avesse ripreso in mano un personaggio del quale, per molti versi, aveva sempre amichevolmente rivendicato la paternità, affermando fosse farina del proprio sacco pur magistralmente inserita dai Coen nel contesto di un’opera unica ed irripetibile. Appunto. Proprio per il motivo della assoluta non replicabilità di tale lungometraggio c’era da attendersi uno scarto evidente nei toni narrativi, un passaggio dalla sfrenata commedia grottesca tinta di noir de Il grande Lebowski ad una vena quotidiana e minimalista cercata con insistenza da Turturro. E così è stato. L’ammiccamento al “vecchio” Jesus, in Jesus Rolls – Quintana è tornato!, dura lo spazio di un prologo in cui assistiamo all’uscita dal carcere del protagonista, scandita dalle note latine della ben conosciuta musica dei Gipsy Kings. Furti con scasso, auto rubate e altri reati minori. Un povero diavolo, insomma. Ritrova subito l’amico Petey (Bobby Cannavale) e con lui parte per una sorta di road-movie dal sapore di fuga fisica e simbolica, dettato dalla ricerca pressoché impossibile di qualcosa di differente ma in compenso sempre affiancati da una presenza femminile, ora dalla teneramente sbalestrata Marie, ragazza di origine francese (non casuale la presenza di “Amelie” Audrey Tatou), ora dalla determinata Jean, ex galeotta che Susan Sarandon caratterizza da par suo, per il personaggio forse meglio definito dell’intero film. Una triangolazione sentimental-sessuale non esattamente nuova soprattutto in certo cinema francese, anche perché il Turturro regista e sceneggiatore unico si è ispirato, per Jesus Rolls, ad una vecchia pellicola di Bertrand Blier datata 1974 ed intitolata I santissimi (Les valseuses in originale).
Ce ne è abbastanza per far affiorare qualche riserva sulla bontà dell’intera operazione. Attendere oltre un ventennio per mettere nuovamente in scena un personaggio-carriera per poi affidarsi alla struttura narrativa dell’appena menzionato film transalpino ha un senso, oggi? Per essere maggiormente chiari: le intenzioni di Turturro sono comunque nobili. Rendere Jesus Quintana un personaggio confacente al cinema fieramente indipendente di Jim Jarmusch, sorta di “osservatore esistenziale” dal cuore tenero al quale basterebbe poco per raggiungere quello che si potrebbe definire uno stadio di felicità passiva. Un’amicizia maschile fedele e stratificata, ad esempio. L’amore incondizionato di una donna. La possibilità di sbarcare in qualche modo il lunario giorno dopo giorno, sulle strade di un’America di routine e scevra di grosse sorprese. Peccato che Turturro si sia un po’ appiattito su questa linea narrativa priva di sostanziali novità e per questo già predigerita in quanto vista troppe altre volte. Jesus rotola (rolls significa questo…), si lascia andare alla vita per forza d’inerzia. Cattura simpatia da parte del pubblico, forse perfino tenerezza ma non l’empatia di chi si trova emozionalmente coinvolto in una storia sin troppo piatta e ripetitiva per suscitare reazioni di altro genere.
Il cinema del Turturro regista, di qualità sin qui abbastanza alterna, continua imperterrito nel proprio percorso di ricerca filosofica, improntata ad una “sostenibile leggerezza dell’essere”. Ma stavolta il mezzo passo falso fa un po’ più male perché Jesus Quintana rappresenta un’icona ben radicata nella memoria cinefila di ognuno. Non c’era dunque alcun bisogno di riportarlo a nuova vita. Perlomeno a questa. Tanto semplice da apparire quasi insulsa.

Daniele De Angelis

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