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The Report

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VOTO: 7

In acque torbide

Per Steven Soderbergh, autore la cui assodata grandezza è ancora da considerare tutta in divenire, è evidentemente tempo di scavare dietro le quinte del Potere. Dopo The Laundromat, appena visto e apprezzato alla Mostra del Cinema di Venezia 2019, da lui stesso diretto, con The Report si limita a rivestire un ruolo produttivo, affidando la regia al proprio sceneggiatore di fiducia Scott Z. Burns, ovviamente artefice anche dello script del film. Un’opera che già nella composizione visiva del titolo racconta quale sarà la tematica principale del lungometraggio stesso; infatti, tra le parole The e Report, ne risulta cancellata una terza, particolarmente significativa: Torture.
Quello orchestrato da Burns è dunque un lucido racconto di ricostruzione dei fatti. Di cosa cioè sia accaduto dopo il fatidico undici settembre 2001 fino a qualche anno addietro. Di come il senso etico della giustizia si sia fermato, nascosto dietro il paravento della prevenzione di nuovi attentati. Guantanamo e gli altri “dark sites”, luoghi dove detenzione ed interrogatori a presunti terroristi sfociarono in una violenza tanto brutale quanto oltraggiosa verso un essere umano. Il Senato degli Stati Uniti, nella persona del proprio membro Dianne Feinstein decise qualche anno dopo di aprire un’inchiesta sui fatti, affidando le indagini al giovane ed integerrimo funzionario Daniel Jones. Dopo ostacoli di ogni tipo, il rapporto conclusivo sarà agghiacciante in misura persino maggiore delle immagine mostrate durante The Report. Un’opera che vorrebbe ricalcare lo spirito di certi capolavori anni settanta tipo I tre giorni del Condor (1975) di Sydney Pollack o Tutti gli uomini del presidente (1976) di Alan J. Pakula, con la consapevolezza però della diversità dei tempi. Al fermento del possibile cambiamento si è infatti sostituito il disincanto di una battaglia già perduta in partenza, nel nome di una verità impossibile da svelare, causa classica “ragion di Stato”, nella sua totalità. The Report diviene allora (im)perfetto paradigma di una scontata prevalenza della menzogna su ciò che è rimasto del senso etico. Un saggio su quanto sia più facile falsificare che tentare di ricostruire una verità inoppugnabile. Oggi soprattutto. La cronaca di un duello impari che talvolta corre il rischio di rimanere impastoiato, dal punto di vista della fluidità narrativa, nei gangli di quella stessa burocrazia perversa che vorrebbe denunciare. Al fine di scongiurare tale eventualità interviene allora la classe di un cast di prim’ordine, capitanato dall’ormai consacrata star Adam Driver (Jones), attorniato da interpretazioni altrettanto esemplari come quella di Annette Bening nel ruolo della senatrice Feinstein.
Se a The Report non riesce compiutamente il lavoro di contaminazione tra denuncia e cinema di genere – prerogativa stretta delle pellicola poc’anzi citate – non ci sono molte ragioni per rammaricarsi oltremisura. La vita di Daniel Jones non è mai messa in pericolo nemmeno per un istante, nel film; ad essere messa in dubbio è invece la bontà del proprio improbo lavoro, accerchiato da i fuochi dell’aggressività repubblicana retaggio dell’amministrazione targata George W. Bush e certe pilatesche prese di posizione della successiva gestione Obama. Una fame di verità illustrata nel film, grazie ad una regia “classica” priva di orpelli formali, in modo così realistico da rendere l’empatia verso il personaggio principale fattore assolutamente spontaneo. E per un lungometraggio che pretende di documentare, senza per questo appartenere alla categoria del documentario ma a quella della ricostruzione in chiave fiction, ci pare già un risultato di notevole interesse.
The Report fa parte delle preaperture della quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, meritando certamente una visione attenta e scevra da qualsivoglia ideologismo precostituito di sorta.

Daniele De Angelis

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