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Interruption

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VOTO: 5

Domande di ieri, scelte di oggi

Interruption (2015) è un film di Yorgos Zois, presentato per la categoria Orizzonti alla 72esima Mostra del Cinema di Venezia.
La parola “teatro”, dal greco “thèatron”, rappresenta il luogo in cui osserviamo, uno spazio di finzione dove la realtà viene solo riprodotta e dove noi, spettatori, ci esimiamo dall’azione. Il giovane regista greco Yorgos Zois (classe 1982) porta lo spettacolo teatrale dentro al Cinema, rendendoci questa volta testimoni di un assurdo mescolarsi di verità e menzogna, logica e paradosso, nel gioco inquietante che vede il pubblico prendere parte alla recita. Esso inoltre si rifà esplicitamente alla medesima vicenda, successa però realmente, in cui un gruppo di cinquanta ceceni armati prese in ostaggio 850 persone nel teatro Dubrovka a Mosca.
In un teatro centrale di Atene, la capitale greca, sta andando in scena l’adattamento contemporaneo di un classico della tragedia greca, l’Orestea di Eschilo. Improvvisamente, dopo un misterioso blackout, un gruppo di giovani vestiti di nero prendono in ostaggio l’intera platea, obbligando alcuni presenti a salire sul palco ed unirsi alla rappresentazione.
Interruption è un prodotto che ha poco di cinematografico e molto di teatrale. Tutta la vicenda si svolge infatti sul palco e sugli spalti, mentre esigue saranno le riprese tra i corridoi vuoti di questo enorme teatro ateniese. Zois ci rende partecipi dello spettacolo attraverso delle scelte stilistiche decise: sono innumerevoli i primi piani sui volti e sui corpi dei partecipanti, i giochi di messa a fuoco, gli stessi contrasti tra le luci al neon e l’oscurità della scena.
La direzione della pellicola è così funzionale a rendere attuale un’opera risalente al 458 a.C., proponendocene una rilettura contemporanea. Diviso in due tempi (nonché in diversi atti), Interruption indaga in primis le identità reali che devono orbitare attorno al suo messaggio, per poi connotare politicamente il lavoro fornendoci gli strumenti utili a capire le dinamiche di potere e di leadership. Non basta spiegare i rapporti di forza, o l’uso della violenza che nel prodotto di Zois viene solo simboleggiata, ma è necessario addentrarsi nei ruoli sociali assegnati e adatti al sistema. È così che viene descritto come l’astante entra a farne parte, reggendo tutta l’impalcatura, in modo silenzioso e impercettibile, dove la linea di demarcazione tra libero arbitrio e costrizione diviene tanto labile da confondersi nel marasma delle interpretazioni. L’uditorio è allo stesso tempo osservatore, attore e giudice di ciò che si svolge sul palcoscenico, scrive il copione in itinere con le proprie scelte ed applaude a se stesso.
Se la forza del giovane autore greco risiede proprio in questa costruzione, dove la scelta di traghettare arcaici dilemmi nell’odierno si rivela vincente, la proiezione si carica invece di troppi tempi morti che – soprattutto nella parte conclusiva – tendono a vanificarne le intenzioni. La riproposizione di dogmi etici (e forse storici) che Zois vuole lasciare aperti, la presenza di svariate sequenze sospese e di suoni ridondanti, non bastano a colmare la mancanza di mordente in un film che si aggroviglia proprio sulle riflessioni che intende innescare.

Riccardo Scano

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