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Il Grande Spirito

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VOTO: 6.5

Sui tetti di periferia

A ben quattro anni dall’ultimo film (il poco convincente Dobbiamo parlare, realizzato nel 2015), ecco che l’attore Sergio Rubini è tornato ancora una volta dietro la macchina da presa raccontandoci – attraverso una sorta di favola bizzarra e surreale – un’altra faccia della sua amata regione di origine: la Puglia. Così, dunque, ha visto la luce Il Grande Spirito, presentato in anteprima al Bif&st 2019.

Questa volta ci troviamo nella periferia di Taranto. Tonino (Sergio Rubini) è un malvivente di cinquant’anni che, dopo aver portato a termine una rapina organizzata insieme a due complici, è scappato via con la refurtiva, arrampicandosi e saltando da un terrazzo all’altro sui tetti dei palazzoni del quartiere. Giunto al punto più alto e avendo perso il borsone con i soldi – dal momento che quest’ultimo è stato seppellito da una montagna di pietrisco in seguito al crollo di un’impalcatura – l’uomo è costretto a fermarsi, per un lasso di tempo da definirsi, presso un vecchio lavatoio situato in cima ad un palazzo. La cosa bizzarra è che qui abita l’eccentrico Renato (Rocco Papaleo), il quale, rimasto quasi bambino, porta sempre una piuma d’uccello dietro l’orecchio e si fa chiamare Cervo Nero, sostenendo di appartenere alla tribù dei Sioux e di aver udito dal Grande Spirito circa l’arrivo imminente, presso la sua ubicazione, dell’Uomo del Destino.
Due personaggi a dir poco agli antipodi, dunque, per un comune rifiuto da parte della società. Quello che Rubini ha qui voluto mettere in scena non è solo – com’è stato per il pregevole La Terra (2006) – la preoccupante criminalità che da anni affligge la sua regione, ma anche, e soprattutto, la storia di due solitudini, oltre all’importanza di credere ancora nei sogni e di mantenere per tutta la vita lo spirito di un bambino.
L’approccio registico per raccontare tutto questo è estremamente realistico, con scene di violenza e di forte crudezza che non ci vengono mai risparmiate (particolarmente d’effetto, a tal proposito, i momenti riguardanti la vita di Teresa, vicina di casa di Renato, la quale è costretta da un marito violento a prostituirsi). Eppure, al momento giusto, anche il surreale e l’onirico sanno prendersi i propri spazi. E ci riescono anche abbastanza bene.
Ciò che di un lavoro come Il Grande Spirito convince meno di tutto, però, paradossalmente sono proprio i due protagonisti. Pur trattandosi di attori di indubbia capacità, Sergio Rubini e Rocco Papaleo ci appaiono, qui, eccessivamente caricati e sopra le righe. E la cosa, purtroppo, va inevitabilmente a stridere con l’approccio iper realistico della messa in scena, facendo sì che i due, apparendoci quasi alla stregua di macchiette, finiscono per perdere inevitabilmente di credibilità.
Ciò, tuttavia, non ha nulla a che vedere con il precedente lavoro del regista – il già citato Dobbiamo parlare – dove l’autore ci è apparso alquanto impacciato nel raccontare i drammi di coppia. Molto meglio quando ci parla di qualcosa che, chiaramente, ama visceralmente. Come la sua terra, appunto. E, malgrado piccole imperfezioni, Il Grande Spirito ha dalla sua una rara limpidità di sguardo che risulta sempre gradita.

Marina Pavido

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