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Il collezionista di carte

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VOTO: 7

L’ultimo giro al tavolo da gioco

William Tell (bel paradosso nella scelta del nome) è stato all’inferno ed è, in qualche modo, sopravvissuto.. Ex militare, ha toccato con mano la disumanizzazione assoluta nel famigerato carcere iracheno di Abu Ghraib, partecipando in prima persona a ciò che di turpe vi accadeva. Il gioco d’azzardo è la sua attuale “occupazione”, fonte di sostentamento nonché unico possibile terreno di affermazione sociale. Durante il suo vagabondare incontra Cirk, un giovane assetato di vendetta. E soprattutto La Linda, misteriosa donna afro-americana con cui instaura una strana relazione. Mentre la figura del maggiore John Gordo, suo spietato superiore nel periodo bellico, continua a popolare i suoi incubi.
Al centro del cinema di Paul Schrader, sia esso solo scritto o anche diretto, ci sono sempre personaggi assai tormentati. La domanda principale che ricorre nella poetica dell’autore nativo del Michigan è sempre la medesima: il mondo circostante riesce ad offrire una possibilità di redenzione? Anche nel caso di William Tell – benissimo interpretato da un Oscar Isaac dalla pregevole recitazione in sottrazione – sensi di colpa, solitudine e frustrazione giocano un ruolo preponderante nella costruzione, assai realistica, del personaggio.
Il collezionista di carte (in originale The Card Counter), opera presentata in Concorso alla 78° Mostra del Cinema di Venezia, poggia prevalentemente sui conflitti interiori del protagonista, dando vita ad una sorta di racconto morale, come spesso accaduto nella filmografia di Schrader, di assoluta pregnanza. Un percorso alla disperata ricerca di se stesso che Tell compie attraverso la strada più accidentata, quella appunto del poker, visto da Schrader come enorme metafora esistenziale, in cui fortuna ed abilità, casualità e Destino, si susseguono senza sosta a definire l’esito di una partita. Vittoria o sconfitta, per lo sceneggiatore del celeberrimo Taxi Driver – ed è doveroso annotare come, nel caso de Il collezionista di carte sia Martin Scorsese a produrre il lavoro dell’amico e sodale di tanti grandi film – non rivestono alcuna importanza. Perché William Tell, operando tali scelte, ha già perduto in partenza. Si è irrimediabilmente smarrito tra i corridoi della prigione irachena, che lo Schrader regista descrive abilmente usando piani sequenza e lenti grandangolari a sottolineare ulteriormente un aspetto allucinatorio da girone dantesco. E’ divenuto un altra persona nel momento stesso in cui ha obbedito agli insensati ordini impartiti, torturando e massacrando altri esseri umani compiacendosi di tali azioni. Convincere il giovane Cirk (un Tye Sheridan ormai avviato all’età adulta) a desistere dai suoi propositi potrebbe rappresentare un tentativo di redenzione, ma anzi riporterà Tell praticamente al punto di partenza. A quel punto solamente l’amore per La Linda (una brava e sensuale Tiffany Haddish) potrà davvero segnare la ripartenza verso una nuova esistenza. Ed è questa la maggiore novità che si concede quest’ultima fatica di Schrader, cioè il lusso di una speranza dopo tanta sofferenza. Con tutta la parte finale, compresa la scelta etica di tenere l’ultimo e definitivo atto di violenza vendicativa nei confronti di Gordo (Willem Dafoe, al solito efficace) fuori campo, ad innalzare il livello di un lungometraggio che, se non aggiunge moltissimo alla poetica del suo autore risultando anche un po’ penalizzato da eccessive verbosità disseminate lungo la narrazione, certamente lascia un segno per le insondabili profondità delle tematiche che affronta.
Cosa che ormai – dai tempi del bellissimo Lo spacciatore (1992), altro ritratto di un loser in cerca di impossibile riscatto con protagonista il fedelissimo Willem Dafoe – non dovrebbe più stupire riguardo la carriera registica di Paul Schrader. Il quale rimane saldamente uno dei pochi nomi di riferimento di un cinema statunitense sin troppo votato, anche nelle sue espressioni più “autoriali”, alle aspre regole dell’incasso a tutti i costi.

Daniele De Angelis

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