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Horizon: An American Saga – Capitolo 1

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VOTO: 6

Una terra promessa

Quella narrata in Horizon: An American Saga è una storia dell’America troppo grande per essere raccontata e circoscritta in un solo film, motivo per cui colui che ha concepito e diretto l’opera in questione ha deciso di dividerla in due capitoli da 180 minuti circa cadauno, primo dei quali in uscita il 4 luglio nelle sale nostrane con Warner Bros. Pictures dopo l’anteprima mondiale lo scorso maggio nel Fuori Concorso della 77esima edizione del Festival di Cannes. Quel qualcuno risponde al nome di Kevin Costner. Del resto chi meglio di lui, che con e sul western ha costruito la propria fortuna e posto le basi di una carriera davanti e dietro la macchina da presa, poteva caricarsi sulle spalle un’impresa drammaturgica e produttiva simile.
L’attore californiano torna infatti alla regia per la prima volta dal 2003, dopo il successo di critica Open Range per rivisitare l’America dell’era della Guerra Civile, ritrovando l’ambientazione del suo blockbuster e debutto dietro la cinepresa del 1990, ossia quel Balla coi lupi vincitore di sette Premi Oscar tra cui miglior film e miglior regia. Non a caso si tratta proprio di due pellicole appartenenti al genere chiamato in causa, che nel frattempo non ha smesso di frequentare prendendo parte alle cinque stagioni di Yellowstone, lo show firmato da Taylor Sheridan incentrato sulle vicende della famiglia Dutton, proprietaria di un ranch nel Montana. Ed è proprio seguendo il principio e il modus operandi della serialità che Costner ha dato forma e sostanza alla sua ultima e imponente – nelle proporzioni – fatica. Mentre si guarda Horizon: An American Saga si ha la netta sensazione di trovarsi al cospetto degli episodi che potrebbero andare a comporre l’estensione della timeline di un prodotto destinato al piccolo schermo, sia per via della durata che per come viene gestito il passo della narrazione. Con il contributo del co-sceneggiatore Jon Baird, il regista accompagna i pionieri e di conseguenza il fruitore verso la conquista di una terra chiamata “Horizon”. Lo fa attraverso l’incrocio di tre archi narrativi che vanno a tessere una mappatura di più storie, creando un affresco e la cronaca sfaccettata dell’espansione della Guerra Civile Americana dal 1861 al 1865 e la colonizzazione della frontiera occidentale. Uno di questi ci conduce geograficamente nel Wyoming e vede protagonista proprio l’attore e regista californiano nei panni di Hayes Ellison, un avventuriero solitario e laconico che con una prostituta fuggono da un cowboy vendicativo che vorrebbe mettere le mani sul bambino che hanno portato via con loro. E questo sicuramente il frammento di storia più coinvolgente, anche se gli squilli di tromba da un punto di vista tecnico, spettacolare e visivo arrivano invece dagli altri due: vedi l’attacco da parte degli apache all’insediamento ai coloni e il contrattacco all’accampamento indiano, entrambi conclusi in un bagno di sangue. Le emozioni più forti di queste tre ore iniziali arrivano proprio da qui e sono ciò che lo spettatore ricorderà più di tutto al termine della visione.
Per il resto, Costner prova a rendere omaggio ai grandi classici e di questo gli va riconosciuto atto, anche se i capolavori e i capisaldi di Ford e Hawks restano comunque un miraggio. Ad affiancare il regista dietro la macchina da presa c’è il direttore della fotografia J. Michael Muro, con quest’ultimo che è riuscito, insieme agli altri reparti chiamati in causa (scenografie, costumi, etc…), a impregnare le immagini di quel quel sapore retró che nei prodotti più recenti appare spesso fake e artefatto. La confezione in tal senso ha il merito di restituire l’immaginario e gli stilemi del western vecchia scuola dei bei tempi che furono, rifiutando le logiche post moderne per abbracciare quel romanticismo e quel calore che era proprio di una certa filmografia del passato.
Difficile però esprimere un giudizio senza aver visto l’opera nel suo complesso, ecco perché abbiamo deciso di assegnare al Capitolo 1 un sei politico, quando in realtà il voto per quanto visto non avrebbe meritato la sufficienza a causa di alcune lacune e mancanze da un punto di vista di scrittura. La struttura polifonica che si appoggia su un impianto corale non trova nei singoli piani narrativi che vanno a comporre il racconto e nell’alternarsi meccanico di essi la stessa capacità performativa. Si assiste in tal senso a uno squilibrio, con dei piani che funzionano più di altri e dei personaggi messi a fuoco con maggiore precisioni. Alcuni di essi sono meglio sviluppati, a differenza dei restanti che sono appena accennati. Eppure abbiamo deciso di dare il beneficio del dubbio a Horizon: An American Saga e al suo autore, evitando così di pronunciarci in via definitiva sul risultato. Restiamo quindi in attesa del secondo capitolo, la cui uscita è prevista il prossimo 15 agosto, per capire se le cose miglioreranno. La speranza è questa. Ora non ci resta che aspettare fiduciosi.

Francesco Del Grosso

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