Tutto in una notte a Tokyo
Il logo iniziale della Toei, con le onde del mare che si infrangono sulla scogliera, rimanda subito a tanto cinema di genere yakuza, quello di Fukasaku degli anni Settanta. Ma la produzione dell’ultimo film di Takashi Miike, First Love presentato ancora alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2019, è di nuovo firmata da Jeremy Thomas, il grande produttore indipendente, artefice del lancio e rilancio di autori come Bernardo Bertolucci, Wim Wenders, Amos Gitai, David Cronenberg e tanti altri, che con Miike ha iniziato a lavorare a partire da Blade of the Immortal ed è arrivato con questo al quarto film. Ci sono tutte le premesse quindi per dare il via all’universo anarcoide del prolifico regista che non delude le aspettative e pigia il pedale del suo acceleratore, regalando subito una bella decapitazione a inizio film, come già in un suo classico di gangster, Shinjuku Triad Society che già inseriva l’elemento della mafia cinese. Ed è frequente nel regista, si pensi per esempio a Gozu, l’inserimento di un coup de theatre nei primi minuti. Le Triadi in First Love esprimono la mancanza di rispetto dei codici d’onore come delle norme confuciane. E un killer cinese è monco, senza un braccio, che ci fa tornare a un classico del cinema wuxia della Shaw Brothers come One-Armed Swordsman, del 1967, che a sua volta era debitore di tutta una serie di eroi giapponesi menomati (Zatoichi, Tange Sazen) in un intercambio di cultura popolare tra Cina e Giappone, da cui Miike attinge a man bassa.
First Love racconta di un pugile in declino e del suo incontro con una callgirl, per caso per strada, con un meccanismo di fato alla Wong Kar-wai come però lo può declinare Miike, facendola inseguire da un misterioso uomo che rimane in mutande dopo essersi tolto di dosso un lenzuolo. Il tutto avviene in una notte, tra le luci al neon dei quartieri del divertimento di Tokyo. E il regista sfodera un suo ampio ventaglio di trovate, che passano dall’uso di poliziotti come narratori, da una fila pressoché infinita di macchine della polizia, dalla visione da telecamere di sorveglianza del personaggio che le manda in frantumi. Ma l’apice della visionarietà ipercinetica alla Tex Avery del regista si raggiunge quando il protagonista si lancia in macchina da un piano rialzato di un grande silos volando sopra le volanti della polizia. Una scena molto complessa da realizzare in real action, che richiederebbe stunt con rischi enormi se fatta davvero, e rischi di credibilità se costruita in digitale. Ma questa scena, preceduta dalle scariche di energia, come fulmini, che scaturiscono dalla testa del protagonista, è la pietra angolare su cui si regge tutto il film. Funziona come una resa, per lo spettatore ancora non rassegnato, all’inverosimiglianza. Miike non è nuovo a inserti animati o all’uso dell’animazione, si pensi solo a The Happiness of the Katakuris, anche per film non tratti da manga o anime. In questo caso la scena ha un portato da pop art, con le onomatopee scritte e in caratteri occidentali, non giapponesi, così come la scritta “police” sulle divise degli agenti, a segnalarne il carattere di universalità onirica, di immaginario stereotipato. Va detto First Love non è tratto da un manga o da un anime, come erroneamente è stato scritto, ma parte da una sceneggiatura originale di Masa Nakamura, già più volte collaboratore di Miike. Eppure il manifesto del film è stato affidato a un grande illustratore come Katsuya Terada – autore di videogiochi e character designer del film Godzilla: Final Wars –, il che alimenta il carattere finzionale, la prospettiva bidimensionale, da cartapesta del film.
Una delle trovate più divertenti del film si costruisce su un’inversione di prospettiva. Un cartomante predice una lunga vita al protagonista mentre l’oncologo gli aveva predetto poco tempo di vita. Ma è il medico a essersi sbagliato, facendo confusione tra le diagnosi. Miike è come l’indovino: si presenta come un ciarlatano cinematografico ma finisce per essere convincente e credibile, superando la sospensione dell’incredulità, contro ogni aspettativa.
Giampiero Raganelli