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Exhuma

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VOTO: 7,5

Non aprite quel cancello

Nel caldo delle giornate pesaresi della 60esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema ci ha pensato una pellicola sudcoreana a fare scivolare qualche brivido freddo lungo la schiena del pubblico presente. Si tratta dell’horror soprannaturale Exhuma (Pamyo), approdato alla kermesse marchigiana nel cartellone della “Korean Week” dopo la presentazione al 26° Far East Film Festival e l’anteprima mondiale nella sezione “Forum” della Berlinale 2024.
Campione di incassi tra le mura amiche, dove è rimasto in cima al botteghino per quasi due mesi collezionando oltre 11 milioni di spettatori, il film scritto e diretto da Jang Jae-hyun ha certificato ulteriormente lo stato di salute del cinema mainstream sudcoreano e al contempo confermato quelle che sono le qualità tecniche dietro la macchina da presa del regista e sceneggiatore di Pyeongeun-myeon. Con i precedenti The Priests e Svaha: The Sixth Finger, il cineasta ha portato sullo schermo due prodotti di buona fattura, che si muovevano anch’essi nella sfera dell’occulto e nella cerchia del cinema dell’orrore in ambito religioso. Se nell’esordio del 2015 due sacerdoti devono scoprire se una ragazza è stata attaccata da uno spirito malvagio o da un molestatore, nell’opera seconda targata 2019 un poliziotto è chiamato a indagare su un caso di omicidio avvenuto all’interno di una setta, in Exhuma tocca a degli sciamani moderni particolarmente abili nelle pratiche di esorcismo entrare in azione per provare a spezzare un’antica maledizione per riportare la pace in una facoltosa famiglia coreano-americana. Il capo della task—force Hwa-rim si rende subito conto di trovarsi al cospetto di un “richiamo della tomba”, vale a dire un antenato morto che, per un qualche motivo, è disturbato e infelice nella tomba. Questo richiederà un’esumazione e una nuova sepoltura.
Ovviamente il compito non sarà per nulla facile e il gruppo dovrà vedersela con tutta una serie di ostacoli terreni e soprattutto ultraterreni che metteranno seriamente in discussione la riuscita della missione e la loro stessa sopravvivenza. Il tutto si sviluppa nell’arco di due macro-blocchi narrativi che occupano una timeline che si aggira intorno ai 130 minuti. Se nel primo le dinamiche e gli sviluppi richiamano i meccanismi classici del genere di riferimento, quello soprannaturale delle possessioni demoniache, nel secondo il livello di efferatezza e il quantitativo di sangue versato portano la storia e i personaggi che la popolano in una dimensione decisamente più gore. Due blocchi, questi, piuttosto corposi che daranno in entrambi i casi molte soddisfazioni agli amanti del cinema horror. Al giro di boa si ha la sensazione che i giochi siano fatti, ma non è così perché Jang Jae-hyun rincara la dose e rilancia quel tanto da garantire alla visione un tasso ancora maggiore di emozioni e coinvolgimento. Il ché permette al film di non esaurire la carica e di procedere senza intoppi e giri a vuoto verso la truculenta resa dei conti. Cosa che non accade spesso in operazioni di questo tipo che, al contrario, finiscono con il ripiegare su stesso per poi perdersi nei meandri dell’incompiutezza. Pochi sono infatti i precedenti in cui ciò non è avvenuto e per ritrovarli bisogna riavvolgere il nastro sino al notevolissimo The Wailing di Na Hong-jin.
Ma non è solo questo che ha permesso a Exhuma di raggiungere certi livelli. Molti dei meriti della riuscita dell’operazione vanno divisi equamente tra la regia solida e impattante di Jang Jae-hyun (su tutte la scena del rito di rimozione) e nella credibilità che tutti gli interpreti, a cominciare da Kim Go-eun e Choi Min-sik, hanno saputo dare ai rispetti personaggi. Altro aspetto da non sottovalutare per niente. Sono questi a nostro avviso gli ingredienti alla base di una ricetta orrorifica davvero riuscita.

Francesco Del Grosso

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