Il “nostro” Donald
Si potrebbe provare a dare una definizione di talento. Usando il nome di Donald Sutherland a mo’ di sinonimo. All’uopo citeremo un film, tra l’altro ben poco rappresentativo, almeno a livello qualitativo, nella carriera dell’attore appena scomparso. Il titolo è Sorvegliato speciale (1989) di John Flynn, classico veicolo di fine anni ottanta per il cinema muscolare di Sylvester Stallone. Sutherland interpreta il perfido direttore del carcere la cui missione primaria nella vita è quella di veder marcire il protagonista tra le quattro mura della prigione. Ed è magnifico, forse il principale motivo d’interesse di un lungometraggio altrimenti abbastanza scontato. Questo per dire come Sutherland fosse fisicamente portato ad interpretare ruoli da villain totale, con il suo profilo luciferino e lo sguardo ipnotico; nonché di come sia stato sempre in grado di evadere in souplesse da tale stereotipo – peraltro ripetuto, nel corso della sua carriera – semplicemente grazie alla propria, immensa, bravura. Che lo ha reso uno dei principali attori della generazione a cui apparteneva.
Parlare del canadese Donald Sutherland significa anche associare il suo nome al nostro paese, ad opere che ne hanno segnato la Storia culturale e politica. Ossia Novecento di Bernardo Bertolucci e Il Casanova di Federico Fellini, girati entrambi nell’anno di gloria 1976. Nel primo un ruolo di cattivo (ovviamente) ma piuttosto sfaccettato, ben inserito nella coralità del cast. Nel secondo autentico mattatore nelle vesti di un personaggio che Fellini ritrae mirabilmente a tutto tondo. Due prove attoriali in grado di compendiarsi a vicenda. Sotto il battesimo di due, inimitabili, autori. Anche per tali motivi il comune sentire è quello di un Sutherland anche un po’ italiano poiché affine alla nostra cultura.
Altro punto saliente della filmografia di Sutherland è stato quello di fiutare il successo futuro, di un singolo regista oppure di un brand. Era il 1977 quando un certo John Landis gira la sua opera seconda, una collezione di urticanti segmenti narrativi da noi intitolata Ridere per ridere (The Kentucky Fried Movie il geniale titolo originale). E Donald Sutherland è presente, a testimoniare l’affermazione di un regista capace di contrassegnare con il proprio cinema l’intera decade successiva. Non a caso Landis lo vorrà anche nel successivo Animal House, commedia di culto della controcultura statunitense. Oppure la partecipazione in tre opere della saga giovanile di Hunger Games, di grande popolarità ed enormi incassi a livello globale. Young Adult che ha segnato la (ri)nascita di un sottogenere per le platee americane.
Se si continuasse a ragionare in termini di cult movie la partecipazione di Donald Sutherland potrebbe essere considerata, in genere, un ottimo indicatore. Cosa dire di titoli quali Mash (1970) di Robert Altman, di gran lunga l’opera maggiormente significativa del decennio contestatario statunitense? O anche E Johnny prese il fucile (1971) di Dalton Trumbo, forse la principale opera anti-bellica mai girata sul suolo americano, con inevitabili e tristi conseguenze per Trumbo? Già da questi ultimi titoli emerge l’impegno politico di Sutherland, artista sempre in prima fila quando c’è stato il bisogno di schierarsi nel nome di giuste cause.
Tra le tante, numerose opere che sarebbero degne di menzione in una sterminata carriera, concedetemi alla fine una parentesi personale. Se proprio dovessi ricordare Donald Sutherland in un singolo fotogramma sceglierei l’agghiacciante urlo di allarme che pone fine a Terrore nello spazio profondo (1978) di Philip Kaufman, ottimo remake in chiave naturalista e pessimista del classico L’invasione degli ultracorpi (1956) di Don Siegel. Purtroppo hanno vinto loro. Soprattutto adesso, che pure un gigante della recitazione – e non solo – come Donald Sutherland ha abbandonato la vita terrena.
Daniele De Angelis