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The Wailing

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VOTO: 8

I volti del Diavolo

Se ne era detto un gran bene all’epoca della prima apparizione pubblica nel Fuori concorso del Festival di Cannes 2016, per cui abbiamo colto immediatamente la palla al balzo per recuperarlo durante la nove giorni della 34esima edizione del Torino Film Festival, dove The Wailing è stato presentato nella sezione After Hours. Della serie se non vedo non credo, abbiamo potuto constatare con i nostri occhi quanto di positivo scritto nei mesi scorsi dalla stampa internazionale a proposito del nuovo film di Hong-jin Na, confermando la già ottima impressione che ci aveva fatto con le altre prove sulla lunga distanza The Chaser e The Yellow River.
La quotidianità sonnolenta di un piovoso villaggio coreano è sconvolta da un omicidio atroce: una famiglia massacrata dal padre, che viene trovato sul luogo del delitto in stato confusionale e con la pelle ricoperta di strane bolle. Dopo alcuni giorni si verificano altri episodi sanguinosi simili: per il goffo poliziotto Jong-gu, incaricato delle indagini, la motivazione dietro questi gesti è inspiegabile. Secondo la stampa locale sarebbero causati dall’intossicazione provocata da non meglio precisati funghi velenosi, mentre per i residenti della zona la colpa sarebbe imputabile a un giapponese (prontamente ribattezzato “lo straniero”) che da qualche tempo vive nei boschi. Ma l’orrore è solo all’inizio…
Senza se e senza ma, Na ci trascina per la terza volta in un incubo cinematografico che sembra non avere fine e nemmeno contorni ben definiti. La lettura del plot, infatti, è lo specchio che ne riflette i caratteri fondanti e dominanti, ma non ne delinea l’esatta natura. Ed è questa volontà di non servire sul piatto d’argento alla platea di turno un “oggetto filmico” meglio identificato, come invece avrebbe voluto il comune modus operandi, l’aspetto che più ci ha colpito del film. Anche la visione confermerà la prima impressione, ossia che non si tratta di un mix, bensì di un’opera camaleontica che, come le precedenti, cambia pelle con lo scorrere della timeline, rivelando via via le sue molteplici identità. Si perché nel DNA drammaturgico di The Wailing si annidano geni differenti, che fanno capo ai diversi colori del cinema di genere di stampo mistery e orrorifico, con i rispettivi campionari di nessi e connessi al seguito. Si parte dal più classico serial-thriller per arrivare all’horror demoniaco, passando persino per lo zombie movie old style. Tale procedura genera solitamente un caos narrativo più o meno ordinato, oppure nei peggiore dei casi persino una “maionese impazzita” di elementi che non trovano la giusta collocazione nello scacchiere. Quello che il cineasta sudcoreano riesce ad evitare è proprio questa confusione. In tal senso, non c’è porta che Na apra senza prima avere chiuso alle sue spalle la precedente, con la timeline che si trasforma in una sorta di staffetta dove i generi chiamati in causa si cedono il testimone. A differenza di tanti colleghi, connazionali e non, Na non li mescola senza soluzione di continuità, gettandoli alla rinfusa nella sceneggiatura, ma li propone in successione. Ciò determina una mutazione e un conseguente effetto di spiazzamento, con lo spettatore che si trova a fare i conti con un rimescolamento improvviso delle carte che non consente alcun tipo di pronostico, tantomeno di previsione, perché ogni tentativo, come avrete modo di scoprire solo dopo i titoli di coda, risulterà vano.
Al contrario, ciò che Na non riesce ad evitare è la saturazione, perché la carne al fuoco è davvero abbondante; ma questo è un vizio ricorrente nel cinema di genere asiatico, davvero difficile da scardinare, per cui abbiamo giocoforza imparato da anni ad accettarlo e a farcene una ragione. Di conseguenza, non lo vediamo più come un limite, piuttosto come un ingrediente imprescindibile della ricetta.

Francesco Del Grosso

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