Lezioni di vita
Se nel 2012 il cineasta austriaco Michael Haneke – facendo commuovere gli spettatori di tutto il mondo – vinceva il Premio Oscar al Miglior Film Straniero con Amour, in cui veniva trattato lo spinoso tema dell’eutanasia, l’Italia, dal canto suo, non ci ha messo molto a dire la sua in merito. Soltanto un anno dopo, infatti, la nostra attrice di fama internazionale Valeria Golino faceva il suo esordio dietro la macchina da presa con Miele, in cui veniva messa in scena la storia di una ragazza (impersonata da Jasmine Trinca) con il difficile compito di porre fine alle vite di pazienti terminali. Un esordio, il suo, che ha diviso parecchio sia pubblico che critica, ma che, purtroppo, ben poco ha lasciato dietro di sé in seguito alla propria permanenza in sala. Ben cinque anni dopo, tuttavia, l’attrice ha voluto rimettersi in gioco e, per l’occasione, ha dato vita a Euforia, che, di fatto, presenta non poche analogie con la sua opera prima.
Se in Miele, dunque, veniva raccontato per immagini il calvario di malati terminali decisi a porre fine alla propria vita, in Euforia, ciò che viene messo in scena riguarda sì un malato terminale, ma, principalmente, il tema trattato è il modo di affrontare tali situazioni, soprattutto quando riguardano familiari o amici stretti. E così prende il via la storia di Matteo, giovane e carismatico web designer con forti dipendenze dalle droghe, il quale, un giorno, riceve la notizia che suo fratello sta per morire. Facendo fatica egli stesso ad accettare la realtà, l’uomo cercherà in tutti i modi di nascondere al diretto interessato la verità, facendogli credere, al contrario, che una guarigione è addirittura imminente.
Un tema non facile da mettere in scena, questo scelto dalla Golino. Se, infatti, da un lato abbiamo una malattia che non lascia scampo, dall’altro viene raccontata la storia di un uomo che fatica ad accettare non solo la realtà, ma addirittura sé stesso, sentendosi in colpa nei confronti della madre per la sua omosessualità, allontanando inconsciamente chi lo ama per ciò che è e sentendosi in dovere di guadagnare in modo eccessivo, al fine di proteggere i propri cari da ogni possibile avversità. Ovviamente, al fine di rendere il tutto credibile, c’è bisogno di una scrittura di ferro, oltre che di un interprete perfettamente all’altezza. E, fortunatamente, da questo punto di vista, un lungometraggio come il presente non lascia nulla a desiderare, grazie a un protagonista caratterizzato in ogni sua minima sfaccettatura e a un’interpretazione, quella di Riccardo Scamarcio, perfettamente consona al personaggio e mai sopra le righe.
Quello che di un prodotto come Euforia, dall’altro lato, convince poco è, in realtà, proprio uno script che, man mano che ci si avvicina al finale, tende a indugiare eccessivamente sullo strappalacrime, facendo sì che l’intero lavoro finisca inevitabilmente per parlarsi addosso e per scadere in pericolosi cliché, oltre a una regia che prevede non poche inquadrature autocompiaciute e spesso gratuite, come il ribaltamento di macchina durante la corsa verso il treno di Matteo, di suo fratello e della compagna di lui. E così, dopo una partenza potenzialmente interessante, Euforia – pur presentando momenti particolarmente interessanti come l’imitazione di Stanlio e Ollio da parte dei due fratelli lungo i corridoi dell’ospedale – purtroppo non riesce a spiccare mai davvero il volo. Peccato.
Marina Pavido