I miei fantasmi
Tra il Michele Placido attore e regista e la figura di Luigi Pirandello e la sue opere pare esserci una vera e propria complicità e corrispondenza, che sfocerebbe se lo scrittore e drammaturgo siciliano fosse ancora fra noi in un’affinità elettiva e in comunione d’intenti di natura artistica. La riprova sta nel costante e sempre vivo interesse che il primo ha dimostrato negli anni nei confronti del secondo, tanto da portarne a più riprese sulle tavole del palcoscenico e sullo schermo molti dei tasselli della produzione letteraria e teatrale per la quale è universalmente riconosciuto. Se a teatro ha già portato in scena, tra gli altri, Placido recita Pirandello, Io e Pirandello e Cosi è (se vi pare), nel 2025 sono previsti gli spettacoli tratti dalla trilogia che comprende Lettere a Marta, L’uomo dal fiore in bocca e La carriola, al cinema è l’autore che ha più di ogni altro cercato di incontrare attraverso le sue regie: lo testimoniano ad esempio Ovunque sei, dove confluivano ispirazioni tratte da All’uscita e L’uomo dal fiore in bocca, e La scelta che invece riprendeva, ambientandolo ai giorni nostri, L’innesto. Stavolta il cineasta pugliese si è spinto ben oltre decidendo di andare più in profondità per entrare nella sfera intima e privata dell’uomo che c’era dietro quelle opere. Da qui ha preso forma e sostanza la sua quindicesima regia di un lungometraggio dal titolo Eterno visionario.
Lo ha fatto con la metafora del viaggio che nel film in questione, presentato alla 19ª Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public prima dell’uscita nelle sale il 7 novembre con 01 Distribution quasi in concomitanza col 90º anniversario dell’assegnazione del Premio Nobel, diventa al contempo fisico, emozionale ed esistenziale. Un viaggio, questo, che porterà il protagonista nel 1934 in quel di Stoccolma per ricevere l’ambito e prestigioso riconoscimento per la letteratura. Ed è nella cabina di quel treno che sta attraversando mezza Europa per giungere nella capitale svedese, laddove Pirandello pronuncerà lo storico discorso di fronte all’Accademia Reale a coronamento dell’apice della carriera, che l’uomo si troverà a fare i conti con la propria coscienza e i tanti fantasmi del passato.
Riavvolgendo le lancette dell’orologio e ispirandosi alle pagine della biografia di Matteo Collura, Il gioco delle parti, Placido firma un biopic che ripercorre in maniera volutamente frammentata procedendo per jump cut alcuni capitoli della vita e della professione del sommo letterato, in quella che è a tutti gli effetti la prima volta che al cinema si prova a raccontare la verità sulla vicenda umana e artistica di Pirandello. In passato la Settima Arte infatti si era solamente adoperata attraverso i suoi esponenti nel tramutare in immagini alcuni dei suoi testi (il più recente è L’uomo dal fiore in bocca di e con Gabriele Lavia) o nel cercare di comprendere l’artista come accaduto in La stranezza di Roberto Andò o Leonora addio di Paolo Taviani. Eterno visionario in tal senso è una radiografia esistenziale che va a scandagliare il dark side of the moon del protagonista e il suo tumultuoso mondo interiore, raccontando l’umanità, le passioni, le ossessioni, i turbamenti e una parte più segreta intrappolata fra l’amore dirompente e impossibile per Marta Abba e il burrascoso rapporto con la dolorosa follia della moglie Antonietta Portulano. Nel mezzo il profondo ma anche difficile legame con i figli Lietta, Stefano e Fausto, il controverso rapporto con il Fascismo e i trionfi, gli insuccessi e le delusioni (tra cui l’illusione di una collaborazione cinematografica con con Friedrich Wilhelm Murnau) che ne hanno segnato la carriera. Esplorazione, questa, piuttosto ardua data la complessità della profilo che si è deciso di chiamare in causa. Ma Placido, non nuovo a tali immersioni nella sfera privata e intima di figure realmente esistite se si pensa a Un viaggio chiamato amore o a L’ombra di Caravaggio, porta a termine la missione in maniera sufficientemente esaustiva.
Ad aiutarlo in fase di scrittura lo stesso Collura e il sodale Toni Trupia, che a sei mani compongono insieme a lui un ritratto onesto e veritiero di un artista che seppe capire la dissoluzione dell’identità dell’uomo novecentesco e descrivere quella gabbia di simulazioni che è la società. Da qui il regista è partito per dipingere sullo schermo, con le pennellate della fotografia impattante e immersiva di Michele D’Attanasio, il biopic di un Pirandello che è stato un genio della letteratura e del teatro, ma non certo il buon padre di famiglia come finora lo si è voluto far passare. Infatti, sembra aver cercato nell’infelicità l’impulso più potente per creare i suoi capolavori. Potrebbe essere uno dei suoi stessi personaggi, se si indaga a fondo nella sua vita. Ed è quello che si è fatto in questo film. Eterno visionario è un racconto cinematografico che si focalizza sulla devastata tensione interiore e sentimentale dell’uomo al quale ha prestato e corpo e voce un convincente e partecipe Fabrizio Bentivoglio.
Francesco Del Grosso