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È stata la mano di Dio

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VOTO: 9

Apriti cuore

Quando si toccano corde che ci riguardano nel profondo, anche il linguaggio con cui si sceglie di esprimersi – in questo caso la Settima Arte – ne risente fortemente e nell’accezione migliore del termine.
«Ho fatto quello che ho potuto, non credo di essere andato così male», campeggia all’inizio di È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, a voler ricordare/omaggiare una frase del campione, Diego Armando Maradona, ma, al contempo, ‘prendendola in prestito’. Sembra quasi che il regista napoletano inserisca una dichiarazione di intenti e umiltà prima che questo viaggio prenda il via e, parallelamente, ci piace pensare che tracci quasi un bilancio del percorso effettuato e cercato fino ad oggi, ‘tornando a casa’ – subito il movimento di macchina si apre sul mare.
Dopo Il Divo, La grande bellezza, Loro, la serie The Young Pope ci ritroviamo di fronte alla storia di un ragazzo, Fabietto (incarnato dall’ottimo Filippo Scotti) «nella tumultuosa Napoli degli anni Ottanta. Una vicenda costellata da gioie inattese, come l’arrivo della leggenda del calcio Diego Maradona e una tragedia altrettanto inattesa» (dalla sinossi ufficiale). Si intuisce sin dai primi fotogrammi che ciò che di lì a poco vedremo e che ci coinvolgerà – in alcuni punti anche prepotentemente – ha molto a che vedere con chi firma la regia di quest’opera. «Un racconto di formazione che mira, stilisticamente, a evitare le trappole dell’autobiografia convenzionale: iperbole, vittimismo, pietà, compassione e indulgenza al dolore, attraverso una messa in scena semplice, scarna ed essenziale e con musica e fotografia neutre e sobrie. La macchina da presa compie un passo indietro per far parlare la vita di quegli anni, come li ricordo io, come li ho vissuti, sentiti», ha con schiettezza affermato Sorrentino continuando «In poche parole, questo è un film sulla sensibilità. E in bilico sopra ogni cosa, così vicino eppure così lontano, c’è Maradona, quell’idolo spettrale, alto un metro e sessantacinque, che sembrava sostenere la vita di tutti a Napoli, o almeno la mia». Evidenziando un’espressione utilizzata proprio dall’autore, «sulla sensibilità», viene quasi da dire che ci mancava questo Sorrentino, che già si era in parte esposto con i primi lungometraggi (come non citare Le conseguenze dell’amore) e che qui, pur riuscendo a sviluppare la giusta distanza, si regala generosamente al pubblico, forte della scrittura alla base e del cast che è riuscito a mettere insieme. Infatti, da un lato abbiamo senza dubbio un protagonista che lo richiama anche nelle aspirazioni che scopre cammin facendo; dall’altro un gruppo di grande qualità attoriale con precise peculiarità (da Toni Servillo a Massimiliano Gallo, da Renato Carpentieri a Lino Musella, da Luisa Ranieri a Teresa Saponangelo – con quest’ultima che merita un plauso ulteriore) che riesce a restituire una sensazione corale.
«L’aria è densa di promesse e l’adolescente Fabietto Schisa la respira a pieni polmoni. Se a scuola appare come impacciato ed emarginato, la vita comunque gli sorride. I suoi genitori sono volubili (Maria/T. Saponangelo e Saverio/T. Servillo), hanno i loro difetti, ma si amano ancora. Le loro famiglie sono chiassose, a volte travagliate e tuttavia molto divertenti. I pranzi sono interminabili, i drammi famigliari vanno in scena ogni giorno, la risate sono incessanti e il futuro sembra ancora molto lontano. Poi, un inspiegabile incidente capovolge ogni cosa. E, come fece un tempo Sorrentino negli anni della sua gioventù, Fabietto deve trovare un modo per sfuggire alle profondità della tragedia e venire a patti con lo strano gioco del destino che lo ha lasciato in vita. Con un passato andato distrutto e nonostante tutto un’intera esistenza davanti a sé, traccia la rotta del suo percorso attraverso la perdita e verso il nuovo.
Questo insieme di devastazione e liberazione è qualcosa che Sorrentino ha sperimentato all’approssimarsi dell’età adulta. E nonostante la finzione e la realtà si intreccino liberamente in È stata la mano di Dio — talmente liberamente che persino gli elementi fantastici sembrano far parte del mondo perfettamente controllato di Fabietto — il film ricostruisce in modo meticoloso la città e l’atmosfera della famiglia in cui egli è cresciuto». Si ride, si attraversano le fasi ormonali così come i silenzi e si fa i conti col dolore proprio come nella vita reale. Un aspetto molto interessante consiste nel saper essere personale e universale, al di là della storia privata (certo rielaborata) e del tempo. Forse le generazioni dei millennials ‘giudicheranno’ alcune situazioni come distanti eppure immaginiamo che ne saranno incuriositi; ma basta arrivare anche solo ai trentenni che come generazione potrà ritrovarsi in alcune ‘rimpatriate’ con il/la ‘capofamiglia’ (la signora Gentile/Dora Romano) o sentito dire della zitella di turno che si è accasata. Quest’ultimo lavoro di Sorrentino apre il suo cuore e il nostro, sono – per citare solo alcuni aspetti – toccanti il rapporto tra i due fratelli (da cui emerge anche la reazione differente alla vita e alle prove di fronte a cui ci mette – il maggiore è interpretato da Marlon Joubert) e quello tra Fabietto e sua zia Patrizia (una L. Ranieri avvenente, sognatrice e che subisce uno specifico approccio maschile) che ben raffigura la forma mentis diffusa fino a qualche anno fa – e chissà che non ci sia ancora qualche retaggio – e, contemporaneamente, ci suggerisce come un pizzico di ‘follia’ possa far fantasticare, immaginare nuovi scenari al di là dell’orizzonte del mare.
Inutile negare come sia questo il Sorrentino che ci fa venire la pelle d’oca di fronte ad alcune somatizzazioni e ci emoziona quando i personaggi-persone si mettono a nudo, a partire da Fabietto, scoprendo passo dopo passo quale potrebbe essere la sua strada.
«Capita a volte di provare l’esigenza di registrare i ricordi, di fissarli da qualche parte», ha affermato. «Ma con il passare del tempo, ho pensato che forse sarebbe stata una buona idea farne un film perché avrebbe potuto aiutarmi non tanto a risolvere i problemi che ho avuto nella vita, quanto ad osservarli da una posizione molto più vicina e a conoscerli meglio. Tutti i miei film sono nati da sentimenti che mi appassionavano, ma dopo averli realizzati quella passione è svanita; così ho pensato che se avessi fatto un film sui miei problemi, forse sarei anche riuscito a dimenticarli, almeno in parte.
Per me l’aspetto interessante di fare un film autobiografico è che a quel punto quei problemi non sono più i miei problemi, ma sono i problemi del film» e quindi «diventano più affrontabili. Quando ho iniziato a montare il film, guardare e riguardare quei ricordi è diventata quasi un’abitudine ed è molto più facile affrontare un’abitudine che affrontare un ricordo. Se altre persone potranno relazionarsi e identificarsi con le mie esperienze, se si vedranno specchiate nel film, significa che la mia sofferenza sarà divisa a metà». Post visione possiamo asserire – indubbiamente è anche soggettivo – che è riuscito a farci sentire coinvolti, a farci viaggiare in un mare tempestoso, ma anche in quello che riesce a guardare oltre l’orizzonte.
Dopo esser stato presentato in Concorso a Venezia 78°, È stata la mano di Dio uscirà in cinema selezionati il 24 novembre e su Netflix il 15 dicembre 2021.
«Napule è mille culure
Napule è mille paure
Napule è a voce de’ criature
Che saglie chianu chianu
E tu sai ca’ non si sulo
Napule è nu sole amaro
Napule è ardore e’ mare
Napule è na’ carta sporca
E nisciuno se ne importa
E ognuno aspetta a’ sciorta
…», “Napule è”… questo lungometraggio, insieme alle parole cantate come solo Pino Daniele sa fare, ci comunica come ci si possa «disunire», provare a rincorrere la propria vocazione, con Napoli nel cuore.

Nota ‘a margine’: «La frase ‘la mano di Dio’ viene associata per la prima volta a Maradona durante i (quarti di finale dei) Mondiali del 1986 in Messico, quando segna le due reti vincenti dell’Argentina contro l’Inghilterra. Il secondo gol è considerato il capolavoro di tutti i tempi, ma per quanto riguarda l’azione che porta al primo, il replay rivelerà che ha commesso fallo colpendo il pallone con la mano. Quando gli viene chiesto un commento dopo la partita, Maradona risponde sfacciatamente (che il gol è stato siglato): ‘Un po’ con la testa di Maradona e un altro po’ con la mano di Dio’.

Maria Lucia Tangorra

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