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El gran movimiento

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VOTO: 8

Musica e colori di La Paz

In molti ricorderanno il bellissimo documentario Berlino – Sinfonia di una grande città, diretto da Walter Ruttmann nel 1927. In questo singolare e innovativo prodotto cinematografico la città di Berlino risultava viva e pulsante sul grande schermo come mai era capitato prima, grazie soprattutto a un sapiente lavoro di montaggio e a un adeguato uso di suoni. Ma come cambierebbero le cose se un’operazione del genere venisse effettuata oggi, quando ormai di modi di raccontare una metropoli ne sono stati sperimentati davvero tanti? Detto fatto. Il giovane regista boliviano Kiro Russo, infatti, ha voluto raccontare per immagini la sua città – La Paz – concentrandosi al contempo anche su alcuni suoi abitanti e, più in generale, sul modo di vivere nella grande capitale boliviana. Il risultato finale è un lungometraggio “che non ci si aspetta”. Un film dove documentario e finzione si intrecciano continuamente, in modo che non si può mai dire con certezza dove finisca l’una e dove inizi l’altra. Stiamo parlando di El gran movimiento, presentato all’interno della sezione Orizzonti alla 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

I rumori e i colori della città fanno immediatamente da protagonisti. Macchine, mezzi di trasporto, funivie che sorvolano le strade affollate stanno a comporre tutte insieme un’armonica sinfonia. Alcuni giovani lavoratori sono appena giunti in città dopo lunghe ore di cammino. Quale sarà il loro destino? O, meglio ancora, in che modo La Paz è pronta ad accoglierli? Al contempo, chi vive ai margini della società fatica ogni giorno ad adattarsi ai frenetici ritmi della grande e caotica metropoli.
El gran movimiento attinge a piene mani da numerose tradizioni e generi. Non solo cinema documentaristico, ma anche un riuscito realismo poetico che si fa forte di discipline come lo sciamanesimo diventano le colonne portanti di questo variopinto e stratificato lungometraggio di Kiro Russo. Diversi punti di vista – amalgamati in modo assai bilanciato – ci forniscono una visione completa della città. Una città che viene trattata alla stregua di un vero e proprio personaggio, che si fa custode di ogni segreto, che può essere ora accogliente ora estremamente insidiosa.
Il risultato finale è un vero e proprio viaggio non soltanto verso una terra lontana, ma anche tra il reale e l’onirico, tra il profano e lo spirituale. Senza che nessuno di questi elementi risulti fuori luogo o, comunque, scollegato dagli altri. E Kiro Russo, dal canto suo, si è rivelato perfettamente in grado di gestire tutto ciò, rivelando uno sguardo che, forte delle tradizioni del passato, è riuscito a creare un linguaggio del tutto personale e dando vita a un lungometraggio indubbiamente coraggioso e fuori dagli schemi, che non ha paura di osare, ma che, al contempo, sa perfettamente ciò che vuole comunicare allo spettatore. Un’ulteriore, bella e inaspettata sorpresa di questa singolare 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Marina Pavido

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