Home Festival Venezia 2018 Dragged Across Concrete

Dragged Across Concrete

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VOTO: 7.5

Quanto ci spetta

Il feeling tra S. Craig Zahler e la Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia prosegue e vive il suo secondo capitolo alla 75esima edizione, laddove il cineasta statunitense è approdato per presentare la sua opera terza dal titolo Dragged Across Concrete. A un anno esatto di distanza dalla premiere al Lido, anch’essa Fuori Concorso, di Brawl in Cell Block 99, Zahler riprova a conquistare il pubblico e a convincere gli addetti ai lavori sulla qualità della sua proposta cinematografica rimescolando nuovamente le carte in gioco. Al netto delle tre esperienze sulla lunga distanza sino ad oggi collezionate, di fatto Zahler ha esplorato una larga fetta di generi e sempre con risultati più che soddisfacenti.
Con la sua ultima fatica dietro la macchina da presa, infatti, pur mantenendo nel proprio menù delle componenti già presenti nelle pellicole precedenti, a cominciare dal tentativo – a nostro avviso riuscito anche in questo caso – di mescolare senza soluzione di continuità generi più o meno affini, il regista e sceneggiatore americano cambia decisamente pelle. Dal western Bone Tomahawk si è passati poi al crime semi-carcerario Brawl in Cell Block 99, sino ad approdare al poliziottesco old style in odore di buddy movie che ci apprestiamo ad analizzare. In Dragged Across Concrete racconta l’odissea metropolitana e la discesa agli inferi di due ispettori di polizia sospesi dal servizio quando viene diffuso dai media un video che mette in luce i loro metodi poco ortodossi. Senza neanche un soldo e nessuna alternativa, gli amareggiati poliziotti decidono di scendere nel mondo criminale per riottenere ciò che spetta loro, ma nell’ombra della criminalità troveranno molto più di quanto si aspettavano.
Dalla sinossi e dalla sua trasposizione sul grande schermo sono chiari ed evidenti quali siano stati i riferimenti più o meno dichiarati dallo stesso regista in fase creativa, ossia quelli dai quali ha scelto consciamente e inconsciamente di attingere per tessere la narrazione e per alimentare la drammaturgia del suo nuovo film, ma anche la messa in quadro. Modelli gloriosi del passato come Il principe della città, Quel pomeriggio di un giorno da cani e Piombo rovente, con qualche eco più ravvicinato temporalmente a Training Day o End of Watch, sono dietro l’angolo e hanno senza dubbio fornito all’autore la materia prima e primigenia alla quale appellarsi di volta in volta. In tal senso, Dragged Across Concrete è un’opera derivativa che non nasconde né rinnega mai le suddette fonti d’ispirazione, al contrario né sottolinea l’importanza tutte le volte che sullo schermo se ne presenta l’occasione. Quest’ultima fa solitamente l’uomo ladro, in questo caso spinge rappresentanti delle forze dell’ordine ad imboccare la strada della criminalità quando si trovano alle strette. Ed è quanto accade ai due protagonisti, il veterano Brett Ridgeman e il suo collega più giovane, Anthony Lurasetti, rispettivamente interpretati da Mel Gibson e Vince Vaughn, qui alle prese con personaggi costruiti sulla base dei profili abitudinari del genere in questione e ai quali i due attori riescono a dare una propria convincente impronta. Sono loro il baricentro su e intorno al quale prende forma e sostanza un’opera che allarga i propri orizzonti alla coralità, con un palleggio insistito tra one lines che si sfiorano più volte sino ad entrare in rotta di collisione in un epilogo davvero efficace e ad alta tensione. Una tensione che in Dragged Across Concrete cresce lentamente tra le stratificazioni di una timeline dove i dialoghi superano di gran lunga i proiettili esplosi. Da questo punto di vista, Zahler si affida più alle atmosfere malsane e agli scambi/conflitti verbali che all’azione e alle folate di violenza, quella che copiosa aveva lasciato lunghe scie di sangue nel crudo ed efferato Brawl in Cell Block 99. Sono, infatti, i dialoghi l’arma scelta dal regista americano per mietere vittime sullo schermo e per affrontare di petto tematiche scomode come la corruzione nella polizia, il razzismo imperante tra le strade e l’onnipresenza minacciosa degli apparati video nella vita quotidiana. Peccato solo per quei venti e passa minuti di troppo che pesano sulla soglia dell’attenzione del fruitore, la cui causa principale va rintracciato sicuramente nell’accumulo – alcune volte eccessivo – di scene dialogate. Ciò che resta, però, è un solido e arcigno esempio di poliziesco che non fa sconti a nessuno.

Francesco Del Grosso

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