La montagna infernale
“Questa vita è proprio un inferno”. Un espressione spesso usata dai mortali per enfatizzare una giornata storta o un’annata assolutamente da dimenticare. Ma se una frase del genere è riferita a un uomo dall’aspetto inquietante e simile a una montagna che cammina, il contenuto cambia improvvisamente colore, più vicino a quel rosso inferno che chi ha letto Dante ha saputo riconoscere nei vari passaggi di girone in girone. Bradley ha infatti dietro alla nuca una croce, fissata in quel punto preciso forse per rimediare a ciò che è successo molto tempo addietro. L’alcool e il pugilato l’hanno quasi consumato, ma col tempo ha capito che deve cambiare stile di vita, girare pagina e partire da zero in compagnia della sua ragazza Lauren. Oltre agli eventi passati, quel tatuaggio sulla testa rasata può rappresentare il preludio di tutti problemi che l’uomo dovrà prima o poi sostenere nell’immediato futuro, come se fossero delle prove di resistenza sul suo temperamento tutt’altro che saldo e pacifico. Dalla crisi con la fidanzata alla perdita del lavoro di meccanico, il soggetto è obbligato a compiere delle scelte drastiche che precedentemente ha evitato per l’incolumità della sua famiglia. Comincia a trasportare partite di droga per conto di Gil, guadagnando soldi e fiducia nelle fila dell’organizzazione, fino a che un accordo con il cartello messicano condurrà Bradley in un sentiero tortuoso, dove non esiste la parola misericordia, né tanto meno pietà.
Con l’inserimento di Brawl in Cell Block 99 nel Fuori Concorso della 74esima Mostra del Cinema di Venezia, si ha ancora più la certezza della grossa ricerca di nuovi linguaggi all’interno della manifestazione. Non mancano i film d’autore, le opere più mainstream, e, anche quest’anno, i lungometraggi che più si discostano da queste due categorie. La storia rispecchia una comunità indifferente e insensibile verso le persone che, in seguito alla crisi finanziaria del 2008, hanno ricevuto un duro colpo al ventre mettendoli in ginocchio. Sono i piccoli tasselli che, se uniti, portano Bradley a delle scelte di cuore, nonostante il pugno sia la sua specialità. L’uomo, quando vuole, sa essere spietato e la violenza che sprigiona il protagonista rappresenta l’equivalente delle sue frustrazioni. Continuando il parallelismo con la struttura dantesca dell’inferno, il limbo sembra essere la condizione entro cui si muove all’inizio il personaggio, ormai entrato nel giro del narcotraffico. Non commette direttamente l’atto dello spaccio al dettaglio, ma raffigura colui che effettua le transazioni in maniera pulita e indiscreta.
Con l’avvio di una serie di accordi tra i diversi clan, la situazione idilliaca di Bradley (guadagnare tanto con il minimo sforzo) comincia improvvisamente a crollare, così come muta anche il registro stilistico di riferimento del film, passando da un noir/thriller su un individuo problematico a una visione claustrofobica del peccato in ogni sua sfumatura. Man mano che si va più a fondo, il protagonista perde il contatto con la superficie, scavando più a fondo rimanendo sempre più emarginato e, di conseguenza, libero da ogni genere di pulsione. La forma e l’ambientazione subiscono una graduale trasformazione, ed è da questa seconda parte del racconto che si scaraventa verso il nemico la brutalità di Bradley, in una spettacolarizzazione della violenza accentuata anche per mezzo di una fotografia dai colori sempre più caldi.
Brawl in Cell Block 99 va dunque giudicato come un prodotto a sé stante, con un contenuto scarno che mira verso l’essenziale. A emergere è una regia frammentata, composta da situazioni statiche e da sequenze di una potenza incredibile, nella quale le ossa spezzate e il sangue sparso per la scena altro non sono che l’emblema del degrado costante dell’animo umano.
Riccardo Lo Re