Dammi tre parole: discontinuità, varietà e qualità
Si fa o non si fa? Una domanda, questa, diventata un fastidioso tormentone alla quale le direzioni che si sono succedute hanno negli anni provato, chi in un modo e chi un altro, a dare una risposta più o meno valida. Tutti, nessuno escluso, anche coloro che del destino del Festival o della Festa del Cinema di Roma (chiamatelo come volete) non avrebbero dovuto farsi carico, hanno detto la propria, montando e alimentando sterili e inutili polemiche. Eppure siamo ancora qui a gettare parole al vento, anche adesso che nonostante tutto la manifestazione ha raggiunto “miracolosamente” la doppia cifra. Per quanto ci riguarda, abbiamo preferito – e continuiamo a farlo – tirarci fuori dalla mattanza mediatica e politica che, puntualmente, finisce con l’abbattersi sulla kermesse capitolina e sull’operato degli organizzatori designati, per focalizzare invece l’attenzione sui risultati portati a casa, limitandoci a giudicare solo quello che scorre sugli schermi, mediocre o ottimo che sia. Una scelta, la nostra, che non è dettata da un atteggiamento altero, bensì dal desiderio di concentrarci solo ed esclusivamente sulle pellicole proposte; ed è quanto faremo anche in occasione di questa decima edizione che si terrà dal 16 al 24 ottobre 2015 nella cornice dell’Auditorium Parco della Musica (e non solo).
Dopo la parentesi mulleriana, il testimone è passato nelle mani del duo formato da Piera Detassis e Antonio Monda, rispettivamente Presidente della Fondazione e Direttore Artistico, che lo scorso 29 settembre hanno illustrato alla stampa e agli addetti ai lavori il programma e le linee guida di questa edizione. Almeno sulla carta, il palinsesto appare molto interessante, ma saranno i nove giorni della kermesse, con i film e gli eventi offerti alle platee di turno, a stabilire se le buone impressioni rimarranno tali oppure no.
Partiamo con i numeri: 37 film tra fiction, documentari e serie tv nella Selezione Ufficiale provenienti da 24 Paesi; 9 nelle linee di programma Work in progress, Hidden City e Riflessi; 2 eventi speciali; 3 retrospettive; 10 incontri; 11 omaggi. Il tutto arricchito dal cartellone di Alice nella Città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema. Con un giorno in meno e l’assenza della Sala Santa Cecilia, gli organizzatori hanno deciso di coinvolgere altri cinema romani del centro e della periferia, oltre al MAXXI, ma anche di ricorrere alla costruzione di una tensostruttura per affiancare gli spazi messi a disposizione dall’Auditorium e riguadagnare capienza in termini di posti. Prezzi dei biglietti per tutte le tasche e soprattutto niente concorso e giurie, con gli spettatori chiamati a esprimere, attraverso un sistema di voto elettronico, il proprio gradimento, decretando il vincitore del premio del pubblico fra tutti i titoli presenti in cartellone. La strizzatina d’occhio va dunque alla formula del New York Film Festival, con la kermesse della Grande Mela che per Monda e il suo entourage diventa un modello da seguire e imitare. Su questa direttrice, la Festa 2015 (così è tornata a chiamarsi, riprendendo il nome di battesimo) ha visto ridursi drasticamente il numero di pellicole presentate, puntando soprattutto sulla qualità (che resta però un fattore soggettivo), prima delle tre parole chiave, insieme a discontinuità e varietà, con le quali il neo Direttore Artistico e i consulenti hanno montato il programma qui di seguito illustrato. E se tutto ciò comporta un red carpet meno ricco in termini di presenze di richiamo, ma un numero superiore di film da ricordare, anche non necessariamente in anteprima mondiale o internazionale, allora ben venga. Ce ne faremo piacevolmente una ragione.
La panoramica sul programma della decima edizione non può non partire dalla Selezione Ufficiale, inaugurata dall’esordio alla regia dello sceneggiatore James Vanderbilt dal titolo Truth, news drama interpretato da Cate Blanchett e Robert Redford sul cosiddetto “Rathergate”, ossia i presunti favoritismi ricevuti da George W. Bush per imboscarsi nella Guardia Nazionale ed evitare il Vietnam. Grande attesa anche per The Walk e Freeheld, rispettivamente il biopic che Robert Zemeckis ha realizzato sul celebre funambolo Philippe Petit (le cui gesta sono già state raccontate da James Marsh nel docu-film vincitore dell’Oscar, Man on Wire) e il melodramma gay-lesbico con Julienne Moore ed Ellen Page firmato da Peter Sollett. Sempre dagli Stati Uniti arrivano altre tre pellicole degne di nota: The End of the Tour, trasposizione cinematografica del libro di David Lipsky “Come diventare se stessi” firmata da James Ponsoldt, che racconta dell’intervista fiume fatta dal giornalista del magazine “Rolling Stone” nel 1996 con lo scrittore e saggista David Foster Wallace, morto suicida nel 2008; Mistress America, commedia spigliata e strabordante che porta il marchio di fabbrica indie di Noah Baumbach; ed Experimenter, con il quale Michael Almereyda parla dei controversi esperimenti comportamentali condotti nel 1961 all’Università di Yale dallo psicologo Stanley Milgram.
Dall’Oriente sbarcano in quel di Roma degli autentici pezzi da novanta, su tutti Sion Sono con la sua ultima e travolgente fatica dietro la macchina da presa, lo Sci-Fi The Whispering Star; e lo scintillante musical del prolifico cineasta hongkonghese Johnnie To dal titolo Office. A questi si va ad aggiungere il film d’animazione a tecnica mista campione d’incassi in Cina Monster Hunt, targato Raman Hui. Rimbalzando sul Vecchio Continente, un occhio di riguardo dovrebbe essere rivolto al crudo gangster movie Legend, con il quale Brian Helgeland narra la vera storia dei gemelli Reggie e Ronnie Kray; ma soprattutto il fresco vincitore del premio del pubblico a Toronto, Room, l’intenso e commovente dramma familiare dell’irlandese Lenny Abrahamson. A rappresentare il made in Italy troviamo, invece, un tris assolutamente eterogeneo composto da: Alaska, melodramma estremo e fiammeggiante incalzato dall’interpretazione di Elio Germano, con il quale Claudio Cupellini torna alla Festa di Roma a distanza di cinque anni da Una vita tranquilla; Dobbiamo parlare, commedia tagliente ricca di colpi di scena che segna il ritorno alla regia di Sergio Rubini; Lo chiamavano Jeeg Robot, la folle opera prima dell’attore e cortista Gabriele Mainetti con Claudio Santamaria e Luca Marinelli.
Curiosità per quelle che potrebbero rivelarsi a carte scoperte delle autentiche sorprese. In particolare vogliamo segnalare: Angry Indian Goddesses, primo buddy movie indiano tutto al femminile diretto da Pan Nalin; Eva No Duerme di Pablo Agüero, sull’imbalsamazione di uno dei personaggi politici più amati e allo stesso tempo più odiati dell’Argentina, ossia Eva Peròn; Little Bird del russo Vladimir Beck, ritratto dal retrogusto truffautiano sulla disperazione e l’intensità dei sentimenti della fanciullezza; Girls Lost di Alexandra-Therese Keining, coming of age in salsa svedese con echi lontani di Lewis Carroll e H.C. Anderson; e Les Rois du Monde del francese Laurent Laffargue con Eric Cantona, sorta di tragedia greca che presto assume i tratti distintivi del western.
E non è da meno il “cinema del reale”, che risponde all’appello con una manciata di documentari che siamo sicuri lasceranno il segno. Da non perdere assolutamente The Confessions of Thomas Quick, Junun, The Propaganda Game e Hurricane 3D. Nel primo Brian Hill ci trascina nella sconvolgente storia di un sadico assassino e stupratore seriale, mentre nel secondo Paul Thomas Anderson documenta lo straordinario tour fatto insieme al chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood alla volta di Rajastnan, nel nord-ovest dell’India, per registrare un indimenticabile album. Nel terzo, lo spagnolo Àlvaro Logoria si getta letteralmente all’inseguimento del connazionale Alejangro Cao de Benòs, unico delegato straniero a lavorare per il Governo nordcoreano, per penetrare per la prima volta nelle dinamiche interne di una nazione sinistramente reclusa e sconosciuta. Nel quarto, la coppia formata da Cyril Barbançon e Andy Byatt portano sul grande schermo un entusiasmante e spettacolare viaggio di quindicimila km sulle tracce di uno degli eventi più devastanti del nostro pianeta: l’uragano atlantico.
Uno spazio nel cartellone, seppur esiguo, se lo ritagliano anche due serie destinate al piccolo schermo, che la Festa di Roma presenta al suo pubblico prima della messa in onda: da una parte i primi due episodi della seconda stagione di Fargo (dal 22 dicembre su Sky Atlantic HD), che vede impegnato dietro la macchina da presa Randall Einhorn e davanti un cast nel quale figurano Patrick Wilson e Kirsten Dunst; dall’altra i dodici episodi che vanno a comporre Fauda, con la quale Assaf Bernstein racconta, con passo inarrestabile, concentrazione drammatica, azione e ruvido realismo, la storia di entrambi i lati del conflitto israelo-palestinese.
Ma la kermesse capitolina vuole essere anche un ponte fra presente e passato, dove nuove esperienze filmiche si mescolano senza soluzione di continuità con la memoria di ciò che è stato e che merita di essere ricordato. Da qui la scelta degli organizzatori di affiancare alla selezione di produzioni recenti, tutta una serie di iniziative dedicate a illustri figure ed esempi della Storia della Settima Arte, attraverso retrospettive (personali dedicate al compianto e poco celebrato Antonio Pietrangeli, al regista, sceneggiatore e produttore cileno Pablo Larraìn, oltre a quella alla produzione Pixar) e omaggi (a Ettore Scola. Paolo e Vittorio Taviani, Pier Paolo Pasolini, Francesco Rosi, Ingrid Bergman, Luis Buñuel, Stanley Kubrick, Alfred Hitchcock e François Truffaut, Frank Sinatra).
Francesco Del Grosso
Riepilogo recensioni per sezione della decima edizione della Festa del Cinema di Roma
Selezione Ufficiale
Truth di James Vanderbilt
Monster Hunt di Raman Hui
The Whispering Star di Sion Sono
Junun di Paul Thomas Anderson
Office di Johnnie To
Room di Lenny Abrahamson
The Walk di Robert Zemeckis
Mistress America di Noah Baumbach
The Confessions of Thomas Quick di Brian Hill
Eva no duerme di Pablo Agüero
The End of the Tour di James Ponsoldt
Ville-Marie di Guy Édoin
Ouragan, l’odyssée d’un vent di Andy Byatt e Cyril Barbançon
Angry Indian Goddesses di Pan Nalin
Experimenter di Michael Almereyda
Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti
Alaska di Claudio Cupellini
Legend di Brian Helgeland
Sport di Ahmad Barghouthi, Tal Oved, Lily Sheffy Rize, Matan Gur
Freeheld di Peter Sollett
Amama – When a Tree Falls di Asier Altuna
The Propaganda Game di Álvaro Longoria
Full Contact di David Verbeek
Dobbiamo parlare di Sergio Rubini
Land of Mine di Martin Zandvliet
Alice nella Città
Wolfpack di Crystal Moselle
Closet Monster di Stephen Dunn
Four Kings di Theresa von Eltz
Une enfance di Philippe Claudel
Mustang di Deniz Gamze Ergüven
Game Therapy di Ryan Travis
Grandma di Paul Weitz
Microbe & Gasoline di Michel Gondry
Pan di Joe Wright
Belle & Sebastien – L’avventura continua di Christian Duguay
Il potere dell’oro rosso di Davide Minnella
Omaggi
S Is For Stanley di Alex Infascelli
Hitchcock/Truffaut di Kent Jones
Incontri ravvicinati
Carol di Todd Haynes
Pre-apertura
Era d’estate di Fiorella Infascelli
La stoffa dei sogni di Gianfranco Cabiddu