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Il segreto dei suoi occhi

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VOTO: 6.5

La logica del remake

Il segreto dei suoi occhi, nella versione americana, potrebbe rappresentare un esempio da studiare nelle scuole di cinema su come Hollywood – definizione da prendere in senso lato – attui una precisa strategia nel girare il remake di un film appartenente ad una cultura “estranea”. In origine, nel caso specifico, c’era l’argentino El secreto de sus ojos (2009) di Juan José Campanella, peraltro non a caso premiato con l’Oscar per la miglior pellicola straniera. Un’opera che, pur mantenendo una coerente attenzione alla verosimiglianza della trama quasi per l’intero film, si focalizzava principalmente sui tormenti dei personaggi messi in scena, finendo con il risultare alla fine un notevole dramma esistenzialista, sia pur all’interno di una cornice di genere. Il rifacimento firmato da Billy Ray, al contrario, si concentra su trama e recitazione, considerandoli meccanismi imprescindibili per la riuscita di un film in cui – anche se non mancano accenti fortemente drammatici, a partire dal fatto che dà il via all’intero plot – l’unico scopo appare quello di intrattenere più o meno piacevolmente lo spettatore, rispettando al massimo le regole non scritte del genere di riferimento. Quindi tutto chiaramente intellegibile, con uno suddivisione temporale – il film è ambientato in due periodi distinti: il presente e il tempo del tragico episodio di cui si faceva cenno e che non riveleremo – perfettamente funzionale al fornire quante più spiegazioni possibili ad uno spettatore accompagnato per mano attraverso tutta la durata del film.
Il cast contribuisce in modo determinante al discreto esito del film. Chiwetel Ejiofor (12 anni schiavo) non sarà il più grande attore anglofono della propria generazione come il suo omologo argentino Ricardo Darín, protagonista dell’originale, ma riesce a toccare le corde emotive nascoste di chi guarda il film, con una eccellente recitazione trattenuta. Julia Roberts, a cui tocca il ruolo principale nella scena madre del remake, esprime giustamente sofferenza con il pallore del volto, riuscendoci bene; mentre una declinante Nicole Kidman si rifugia nel solito personaggio algido e distante per buona parte del minutaggio de Il segreto dei suoi occhi versione a stelle e strisce. Il quale film, cui andrebbe comunque riconosciuto il merito di non indulgere in facili colpi di scena in sequenza come forse sarebbe stato possibile, riesce sempre a mantenersi sui binari di una più che decorosa medietà. Anche se c’è da esprimere un certo rammarico nel notare tra i credits il nome di Billy Ray, per l’occasione all’opera terza da regista(sceneggiatore e un curriculum di abili script (Captain Phillips, tra i più recenti) alle spalle, dal quale dopo gli impietosi – verso l’american way of life – L’inventore di favole (2003) e Breach – L’infiltrato (2007) sarebbe stato logico attendersi qualcosa di più e di diverso di un’opera professionalmente corretta. Qualche scheggia ferisce anche ne Il segreto dei suoi occhi, ma dispersa nel mare magnum di semplificazioni che il sottogenere thriller commerciale prevede.
Curioso, infine, sottolineare come approdino nella medesima settimana in sala due film appartenenti appunto allo stesso genere, come Premonitions di Afonso Poyart e questo Il segreto dei suoi occhi, di cui si sta discettando. Il primo “sparato” a rotta di collo, da un punto di vista formale, direttamente nella post-post-modernità; il secondo saldamente ancorato, almeno riflettendo in termini concettuali, ai classici del secolo scorso. Siamo nel 2015 per entrambi: il cinema riesce ancora a variare la propria offerta. Ci sembra ad ogni modo un buon segnale, almeno per chi si accontenta…

Daniele De Angelis

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