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Dark Places

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VOTO: 6

Ombre dal passato

Spesso dalle strategie di marketing distributive è possibile avere un’idea concreta della dimensione qualitativa del film in uscita. Nello specifico il thriller Dark Places – Nei luoghi oscuri viene “venduto” come lungometraggio tratto dal romanzo di Gillian Flynn, autrice de L’amore bugiardo – Gone Girl. Per quest’ultimo film, al contrario, l’accento veniva ovviamente posto sul nome del regista, ovvero David Fincher. Preambolo necessario per rendere l’idea di come la scontata differenza artistica tra le due opere risieda proprio nel manico, cioè nel nome del regista. Il genere d’appartenenza infatti è il medesimo, per l’appunto un thriller dove la verità diventa un qualcosa di estremamente aleatorio, sorta di inafferrabile miraggio. Ed anche il testo di partenza, nel caso di Dark Places, offriva alcune suggestioni così perfettamente colte e moltiplicate nel film di Fincher, straordinario esercizio di stile sulle differenti percezioni di realtà nella cosiddetta società dello spettacolo. Input, sia pur di diversa natura, che il regista e sceneggiatore di Dark Places, il francese Gilles Paquet-Brenner, si limita a riproporre tali e quali, confezionando un compitino ordinato – sebbene un po’ dispersivo nella trama –  sul rimosso infantile e sulla necessità di superare determinati traumi, peraltro nel film parecchio ingombranti, per approdare ad una crescita più o meno definitiva nel segno di un’esistenza che deve giocoforza continuare.
In sintesi la trama vede la sfortunata Libby Day, bambina nel 1985, assistere al massacro della propria famiglia – madre e sorelle – nottetempo nella fattoria di proprietà. In comprensibile stato di shock la piccola accusa il fratello, facile bersaglio poiché frequentatore, per amore, di cattive compagnie tipo satanisti strafatti alla Charles Manson. Trent’anni dopo Libby (che nel frattempo ha assunto la fisionomia della splendida Charlize Theron), economicamente in cattive acque, viene avvicinata da un esponente di un fantomatico club il cui scopo è quello di revisionare eclatanti casi giudiziari già considerati chiusi, che dietro compenso la costringerà a fare definitivamente i conti con il proprio passato.
Costruito su due differenti piani temporali discretamente intrecciati in modo che la verità dei fatti sfugga sino alle ultimissime battute, Dark Places ripone le sue limitate ambizioni su un buonissimo cast (con il giovane Tye Sheridan, interprete di Joe e Mud, ancora una volta sugli scudi) e su una confezione di accettabile routine con tanto di morale incorporata. Per chi avrà la pazienza di seguire le contorte acrobazie investigative della coppia Charlize Theron/Nicholas Hoult (che interpreta il membro dell’associazione in precedenza menzionata) – che alla lontana ricordano, fatte le debite proporzioni, il progressivo avvicinamento al male assoluto su cui si fondava la prima stagione del celebrato serial True Detective – nel finale oltre a parecchio fumo arriverà anche un minimo di arrosto. Perché la sequenza del massacro, finalmente visibile in tutta la sua gratuita ferocia, è abbastanza palpitante e il conseguente e definitivo svelamento del passato porterà protagonista e personaggi secondari a comprendere fino in fondo la propria natura umana, inderogabilmente basata sulla possibilità del perdono reciproco. Un epilogo buonista ma sincero che riscatta in parte un’operina contrassegnata in negativo da una certa timidezza nello “sporcarsi le mani” con il genere, sia a livello narrativo che di messa in scena. Tuttavia, se l’offerta cinematografica non presenta null’altro di meglio, una capatina in sala a vedere Dark Places non farà rimpiangere amaramente i soldi del biglietto. Se non altro per avere una ulteriore testimonianza di come Charlize Theron tenti (inutilmente) di occultare la propria bellezza per far risaltare il proprio talento di attrice. Non sarà mai, per ovvie ragioni, Meryl Streep; ma l’impresa le riesce sempre con relativa facilità…

Daniele De Angelis

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