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Dancing in the Corner

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VOTO: 7,5

Un pallone fisso

In tutte le interviste rilasciate sin qui, Jan Bujnowski non ha perso occasione per ribadire l’importanza del calcio nella sua vita nonostante non sia mai diventato un giocatore professionista. Si tratta comunque di uno sport che ha potuto praticare come molti suoi coetanei fin dall’infanzia e che ancora oggi che di mestiere fa il regista a tempo pieno si diverte a praticare regolarmente. Era inevitabile che primo o poi decidesse di unire queste sue due grandi passioni in un progetto audiovisivo. Nasce da questo incontro la sua ultima fatica sulla breve distanza dal titolo Dancing in the Corner (Taniec w narozniku), presentata in concorso alla 36esima edizione del Trieste Film Festival dopo l’anteprima mondiale alla Semaine de la Critique di Cannes 2024. Ed è proprio in occasione della proiezione alla kermesse giuliana che abbiamo avuto modo di vedere e apprezzare un’opera tanto surreale quanto poetica, capace di scaldare il cuore e divertire lo spettatore di turno.
Ma la realizzazione di quest’opera, portata a termine miracolosamente con mezzi di fortuna e bobine di pellicola 16mm scaduta con le quali il regista e il direttore della fotografia Jan Grobliński hanno restituito il sapore del passato, è stata in primis per il cineasta polacco un’occasione per riavvolgere le lancette dell’orologio e aprire il bagaglio dei ricordi. Da questo ha attinto a piene mani per raccontare sul grande schermo, in un formato ridotto, una storia che lo riportasse al rapporto con il padre, nella quale lo sport più celebre e amato al mondo ha fatto da leitmotiv nel corso degli anni e delle loro esistenze. Nella Polonia post-comunista di Dancing in the Corner, il calcio è al centro della scena. È sia un riflesso della salute in declino del Paese sia un legame tra padre e figlio. Cullato dalla voce narrante del regista, il corto riesce a raccontarci un’intera storia di vita, dal primo ricordo alla disillusione adulta. Con un tono sfacciatamente malinconico, i personaggi vanno e vengono con il tempo e le scene si riecheggiano in un affascinante valzer di loop. Con e attraverso di esso la timeline mostra una serie di situazione che si ripetono ma ogni volta con delle varianti che li rendono dei momenti unici e irripetibili della sfera pubblica e privata. La narrazione torna ciclicamente nel salotto di casa dei Bujnowski con due generazioni che si trovano a condividere davanti al tubo catodico gioie e dolori delle gesta calcistiche della nazionale polacca. Il ripetersi di questa situazione fotocopia, ma mai uguale a se stessa, si tramuta in un “puzzle” spazio-temporale in cui l’autore, con la complicità del suo vero padre Marcin Bujnowski nel ruolo del genitore, mette a segno una successione di gag spassose dallo humour sottile e tagliente che non può non conquistare il fruitore.
Già il titolo per chi se ne intende e gode di buona memoria è un chiaro richiamo al mondo del football e a un match finito diritto negli almanacchi per un episodio ben preciso passato alla storia. La frase in questione fu pronunciata da un commentatore durante la Coppa del Mondo del 1982, mentre la Polonia giocava contro l’URSS. Negli ultimi minuti della partita, come tattica dilatoria, il centrocampista polacco Włodzimierz Smolarek difese eroicamente la palla nell’angolo del campo, cosa che negli anni è diventata quasi leggendaria e ricordata appunto come “dancing in the corner”. È interessante notare che, anni dopo, l’unica cosa che le persone ricordano di quella partita è il ballo, perché non solo la nazionale polacca non la vinse, ma neppure segnò un gol, chiudendo il torneo al terzo posto. Bujnowski dal canto suo fa riferimento e rievoca quel match e l’episodio incriminato pensandolo anche in un contesto più ampio, con la Polonia vista come nazione che aspira a giocare un ruolo sulla scena internazionale, ma che rimane sempre ai margini, troppo lontano dal centro. Dancing in the Corner appare quindi non solo una commedia sofisticata e riuscita incentrata sul tema del rapporto padre-figlio, ma anche un period-drama che ripercorre la storia di un Paese attraverso la sempre azzeccata e calzante metafora del calcio e dello sport in generale.

Francesco Del Grosso

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