Due (Beat) in uno
Come per The Order di Justin Kurzel anche per Broken Rage dei Takeshi “Beat” Kitano il comparto audiovisivo di Jeff Bezos ha scelto di bypassare l’uscita nelle sale dopo l’anteprima mondiale all’81esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a favore della distribuzione diretta sulla piattaforma di Prime Video, laddove è stato rilasciato lo scorso 13 febbraio. Nel caso dell’ultima fatica dietro la macchina da presa si tratta del primo film battente bandiera nipponica prodotto per un servizio streaming ad essere ufficialmente selezionato dalla prestigiosa kermesse veneziana, dove è stato presentato nella rosa dei titoli fuori concorso. C’è da dire che, contrariamente alla strategia distributiva operata su e ai danni della pellicola del collega australiano, quella che ha coinvolto il nuovo film del leggendario cineasta giapponese appare più sensata visti il formato e la durata che supera di una manciata di minuti l’ora. Questo non significa però che l’opera in questione non meritasse visibilità sul grande schermo, dove sicuramente avrebbe avuto delle opportunità dato il seguito del suo autore e la fama che lo precede, ma il timing ridotto e la tipologia di prodotto la destinazione ci sembra comunque idonea e coerente con la fruizione in streaming.
Detto questo, il ventesimo film scritto, diretto e prodotto da Kitano, che come da consuetudine lo ha anche interpretato, è per sua stessa ammissione un esperimento, rischioso a suo modo come quelli fatti nel corso di una carriera che assomiglia a una montagna russa di sali e scendi, tra capolavori e rovinose cadute legate a operazioni da lui definite “suicidi professionali”: dalla trilogia formata da Takeshis’, Glory to the Filmmaker! e Achille e la tartaruga al più remoto Getting Any?. Proprio a quest’ultimo sembra per spirito, concezione e iniziativa assomigliare di più, ma per fortuna non nel risultato finale, con la pellicola del 1994 che fu un esperimento fallito, oltre che un clamoroso flop. Per chi l’avesse giustamente rimosso, si trattava di un assemblaggio di sketch tenuti assieme da un labile filo conduttore, girato con pochi mezzi e quasi senza sceneggiatura, in cui il cineasta di Tokyo ridicolizzava ogni genere cinematografico giapponese: dallo yakuza movie alla love story, dai kaiju eiga ai tokusatsu. L’esito per chi se lo ricorda fu un vero e proprio flop, che rischiò di mettere gravemente a rischio il cammino dell’autore. Per fortuna seppe rialzarsi e lo fece alla grande, appoggiandosi negli anni successivi a quel filone che è diventato di fatto la sua terra d’elezione, ossia il già citato yakuza eiga. Ed è qui che è tornato più e più volte con la trilogia di Outrage e molto prima con Boiling Point – I nuovi gangster, Sonatine, Hana-bi – Fiori di fuoco e Brother. Ed è sempre qui che è tornato per Broken Rage, utilizzando il suddetto sottogenere e i suoi stilemi come base di partenza e fondamenta sulle quali costruire l’architettura narrativa e drammaturgica del film. Diviso in due parti di uguale estensione, il plot fonde il suo cinema violento con l’innata comicità slapstick, rendendole due facce della stessa medaglia. Il modus operandi vede l’opera iniziare come un crime-thriller prima di cambiare radicalmente registro e rielaborare ogni scena della prima parte, esteticamente e tecnicamente identica, in una seconda metà caratterizzata da una chiave delirante e parodistica. Ne viene fuori una singolare combinazione in due atti di un violento film di Yakuza con la dissacrante e grottesca parodia del genere stesso. Separando le due parti senza mescolarle, riproponendole fedelmente a specchio, ha permesso a Kitano di non commettere lo stesso fatale errore del 1994 e al contempo di far dialogare a distanza due anime sulle quali ha costruito prima e dopo il suo percorso artistico.
In entrambi i segmenti, l’autore indossa le vesti di un sicario, ruolo che ha interpretato in passato e più di recente nella già citata saga di Outrage, che Kitano ha saputo cucirsi addosso sempre con grandissima convinzione e credibilità. In Broken Rage lo propone in due salse dal sapore completamente diverso che si sposano con la ricetta di turno: infallibile nel primo, goffo e disastroso nel secondo, ma sempre un killer la cui routine omicida viene sconvolta quando la polizia lo recluta per infiltrarsi in un cartello della droga. Attraverso la mutazione genetica nel DNA dell’opera e del protagonista, che avviene allo scoccare esatto del trentunesimo minuto dei sessantasei circa a disposizione, il Kitano regista, sceneggiatore e attore trasferisce sullo schermo una sorta di summa del suo cinema, in un certo senso, un bignami che ne racchiude e rilegge il proprio canone, i suoi leitmotiv e il suo stile. Ed è in questa prospettiva e con questi occhi che l’opera va approcciata e fruita nella sua interezza e chiarezza d’intenti, per essere compresa e gustata fino in fondo. Non siamo sicuramente al cospetto del migliore dei Kitano, lontani sono infatti i tempi d’oro in cui ne abbiamo ammirato le gesta, ma qui è come se avesse voluto rievocarlo, farcelo intravedere nuovamente in un film che propone due delle sue anime artistiche, che si passano simbolicamente il testimone. Romanticamente e nostalgicamente parlando è questo che abbiamo voluto vedere in Broken Rage e che ce lo ha fatto apprezzare.
Francesco Del Grosso