Guida (macabra) per riconoscere i tuoi santi
«I santi furono dei gran perversi, così come le sante, magnifiche voluttuose. Gli uni e le altre – pazzi d’una sola idea – trasformarono la croce in vizio»
Emil Cioran, “Sommario di decomposizione”
Il sacro e il profano. O anche un sacro da profanare, attraverso il mezzo cinematografico, qualora la sacralità in questione sia solo supposta e faccia in realtà da paravento per comportamenti devianti, pulsioni di morte, velato sadomasochismo e altre morbosità di natura affine. Vi è senz’altro, nell’andamento così rapsodico della filmografia di Mariano Baino, composta da due lungometraggi realizzati a parecchi anni di distanza l’uno dall’altro e da svariati cortometraggi, un persistente interesse per il versante più macabro dell’immaginario cattolico (o più generalmente cristiano), nonché per certe tare emotive facilmente riscontrabili in esso.
Fa fede (mai termine fu più appropriato), in tal senso, quel memorabile lungometraggio d’esordio, Dark Waters, datato 1993 e girato in territori dell’ex Unione Sovietica, scelti per fare da sfondo a un racconto in cui l’elemento religioso assumeva forme particolarmente allucinate e perverse. Lo riscoprimmo nel 2017 assieme ad altri lavori per via di rassegne o singoli appuntamenti con epicentro al Cinema Trevi (complice la Cineteca Nazionale) e al MACRO (protagonista qui Interiora Horror Fest). Grazie a tali iniziative come pure all’illuminata (e già rimpianta) gestione del Fantafestival, portata avanti in tandem (al pari degli eventi poc’anzi citati) da Michele De Angelis e Simone Starace, abbiamo potuto familiarizzare sia con quel seminale lungometraggio che con una assai stimolante produzione breve: vi sono l’aurorale, folgorante Caruncula (1991), il successivo Never Ever After (2004) e il più recente A Moving Read (2019), tra i cortometraggi più significativi del cineasta campano trapiantato negli Stati Uniti, dove ha continuato a sviluppare la propria poetica assieme a Coralina Cataldi-Tassoni, sua “partner in crime” praticamente da sempre.
Si può dire che dal Fantafestival il testimone sia passato, anche per quanto concerne Mariano Baino, al Monsters – Fantastic Film Festival, giacché è a Taranto che nel novembre scorso il pubblico italiano ha potuto finalmente confrontarsi con Astrid’s Saints, quel nuovo, attesissimo lungometraggio già presentato in anteprima nel 2024 a L’Étrange Festival di Parigi. Ora lo abbiamo potuto vedere anche noi e non ne siamo rimasti affatto delusi.
Accennavamo poc’anzi alla ormai stabile presenza in America di Mariano Baino e della sua musa o per meglio dire co-autrice Coralina Cataldi-Tassoni. Eppure, per girare un film come Astrid’s Saints hanno avvertito l’esigenza di fare ritorno in Italia. Dice l’attrice e sceneggiatrice: “Io e Mariano ci siamo resi conto che portare il progetto in Campania era la cosa giusta da fare. Per molti anni avevo identificato Brooklyn, dove i miei nonni vivevano da emigranti, come luogo ideale per ricreare il mondo di Astrid, ma poi mi sono resa conto che la mia percezione di Brooklyn non era nient’altro che un Sud Italia immaginario e che dovevamo tornare alle origini per girare il nostro film.”
In tale film lei è una madre distrutta dal dolore. La scomparsa del figlio Daniel, però, appare da subito un lutto diverso da molti altri, per quei risvolti enigmatici che sembrerebbero sconfinare nel soprannaturale, in un immaginario religioso malato, in misteriose relazioni con poche figure ectoplasmatiche che non si capisce bene quanto possano essere reali; a “sostanziarle” è però una forma cinematografica estremamente curata: i deliri misticheggianti di cui è preda una Coralina Cataldi-Tassoni qui particolarmente intensa, straziante, le cui increspature sul volto possono ricordare certe dive dell’espressionismo tedesco, hanno al centro un culto dei santi e delle reliquie inteso con fanatismo a dir poco sconcertante, che si riflette peraltro in un profilmico minuziosamente coreografato, traboccante di inquietanti oggetti votivi. E proprio nell’impianto scenografico la coppia di autori ha potuto riversare quell’altro loro versante creativo, che avevamo conosciuto anni fa grazie a specifiche mostre. Stavolta è lo stesso Mariano Baino a testimoniare quanto abbiamo appena accennato, rimarcando l’ulteriore talento della compagna: “Lei è una sorta di presenza organica del film, lo tiene insieme. Gli oggetti che riempiono la scena, i quaderni, le sculture sono tutti opera sua. I disegni sulle pareti della caverna li ha fatti lei la notte prima delle riprese”.
L’organicità dell’inquadratura, questo respirare (affannosamente) insieme di personaggi, oggetti, ombre, misteri, è proprio un marchio di fabbrica del loro cinema, che in Astrid’s Saints ha conosciuto forse la consacrazione definitiva. Inquadrature sghembe, lente carrellate sulle pareti e sui volti, cromatismi spiazzanti, vengono a definire un universo umbratile, stagnante, pestifero e decadente, le cui labili coordinate spazio-temporali cedono il passo a quel delirio introspettivo, in cui si inserisce poi emblematicamente, in flashback, l’orrorifica, oscura vicenda della suora che per gli appetiti di qualche osceno prelato scopriamo essere andata incontro a una sorte terribile. E così si completa virtualmente il cerchio già in parte tracciato, come gli stessi titoli di coda avranno modo di ribadire, nelle tristissime vicende di madri talmente legate al culto dei santi, da condurre la propria prole verso destini tanto terribili quanto quelli celebrati dall’apologetica cristiana con tetra solennità.
Stefano Coccia