Parla con loro
Una sfida ancora più impegnativa. Rispetto al già notevole In a Lonely Place (2016) non si tratta più del gioco al massacro scaturito da un travagliato, malato, sentimento tra uomo e donna. Ne Al progredire della notte si affronta una sorta di horror psicologico – difficile comunque da catalogare – nel quale i cosiddetti “massimi sistemi” (vita, amore e soprattutto morte) confluiscono in un’opera estremamente libera a livello narrativo e formale, proprio quel modello di Cinema di cui in Italia si avverte la lancinante mancanza. Non c’è sangue, in Al progredire della notte, secondo lungometraggio di finzione di Davide Montecchi. Non vi è traccia delle furbizie acchiappapubblico tipo ostentazione di jump scare tesi a far sobbalzare lo spettatore dalla poltrona. Si tratta invece di un viaggio verso l’ignoto nel senso più puro del termine, unicamente affidato al dettaglio di una regia accuratissima ed una sceneggiatura (sempre del regista) abile nel sottolineare i passaggi chiave di questo trip interdimensionale.
Claudia è una ragazza psicologicamente provata. Necessita di un supporto. Il suo ragazzo, presenza immanente solo telefonica, la spinge a frequentare un corso di sopravvivenza. In un paesino semideserto la accoglie l’anziana Letizia, dai modi melliflui e perciò inquietanti. Letizia introduce la giovane al “rituale” della metafonia, attraverso una sorta di baldacchino radiofonico capace di contattare persone decedute. Un vero e proprio pass per l’aldilà. Un culto sommerso capitanato dal misterioso scienziato Servadio, con i propri adepti e soprattutto l’esigenza di far passare altre persone verso un’altra dimensione autenticamente terrorizzante.
Il talento di Montecchi risiede anche nella consapevolezza delle citazioni colte. Se, nel 2025, risulta difficile la creazione di qualcosa di inedito, il regista ci va veramente vicino, assemblando con stupefacente padronanza differenti modalità di stili e linguaggio. L’arrivo di Claudia nell’incipit non può che far venire in mente quello della giovane protagonista del Suspiria di Dario Argento (1977), altro atipico racconto di formazione esclusivamente votato al genere. Al netto della pioggia che non cade, al pari del sangue che non scorre. Al progredire della notte è infatti dominato dalla tecnologia e da un clima asettico, disegnando un futuro (distopico oppure già presente?) nel quale vengono demolite tutte le certezze della cosiddetta realtà. Dall’apparecchio radio di tipo “organico” che immediatamente richiama alla mente i segnali di allarme emessi da David Cronenberg nel corso della sua carriera da cineasta, Videodrome (1980) su tutti. Mentre l’intero lungometraggio in questione, formalmente parlando, ci appare come una sorta di figlio legittimo di Strade perdute (1997), indimenticabile pellicola attraverso la quale David Lynch innestava genuina suspence anche tramite l’osservazione esterna dei personaggi da parte di entità non meglio definite.
In sostanza, ne Al progredire della notte, a far paura sono elementi del tutto “naturali”. L’insicurezza, l’amore, il timore della fine sfociano tutti in un sentimento di terrore che non respinge ma attira. Una spirale che risucchia inesorabilmente, mettendo alla prova personaggi e spettatori accomunati dall’impossibile (?) desiderio di dialogare con i propri cari defunti e al contempo mantenere il proprio status di esseri viventi.
Per un’opera del tutto labirintica e suggestiva che richiede lo sforzo, da parte del pubblico, di smarrirsi dentro di essa. Dal punto di vista cinefilo pare molto difficile pentirsene.
Daniele De Angelis