Toh, una mucca!
A quanti di noi è capitato di sentirsi scontenti, vuoti, in senso lato addirittura depressi, nonostante la buona salute, gli affetti ed un tetto sopra la testa? Apparentemente abbiamo tutto, eppure talvolta abbiamo l’impressione che ci manchi qualcosa. Forse, al giorno d’oggi, i beni materiali hanno assunto così tanta importanza da averci fatto perdere di vista i veri valori? Forse non ci interroghiamo più, presi dal tran tran del quotidiano, sul senso della vita e, in particolare, della nostra stessa vita? Chi siamo? Perché siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Ora – lungi dal voler fornire risposte esaustive in questa sede – come abbiamo avuto modo di vedere nel corso degli anni, quesiti del genere sono stati posti sovente in ambito cinematografico. Quello che, invece, non abbiamo visto così spesso è un animale in piena crisi esistenziale, il quale è, all’apparenza, perfettamente integrato all’interno della società in cui vive. Il bizzarro lungometraggio che tratta una storia del genere è Animal político, opera prima del brasiliano Tião, presentato nella sezione AfterHours al 34° Torino Film Festival.
Una mucca e la sua quotidianità: la vita in famiglia, lo shopping, le serate in discoteca con le amiche, la palestra, eccetera. Come la protagonista stessa sta a raccontarci nel lungo monologo/flusso di coscienza presente in fuori campo per tutto il film, non le manca apparentemente nulla per essere felice. Eppure, durante una cena con i parenti in occasione della Vigilia di Natale, la nostra protagonista avverte per la prima volta un senso di vuoto, come se, in fondo, le mancasse davvero qualcosa. Avrà inizio, così, un lungo periodo di crisi, fino al giorno in cui la mucca deciderà di allontanarsi da casa, in una sorta di ritiro spirituale in giro per il mondo e lontano da qualsiasi forma di civiltà, al fine di raggiungere l’unica cosa che probabilmente riuscirà a farla sentire meno insignificante: la conoscenza assoluta.
Se già il talento di Tião si era rivelato al mondo con i suoi primi cortometraggi (Eisenstein, Muro e Sem coração), questo esordio nel lungometraggio, malgrado le imperfezioni presenti, di sicuro non passerà inosservato. E lo si capisce subito fin dai primi fotogrammi, in cui vediamo due uomini senza testa ed in giacca e cravatta venirsi incontro nel bel mezzo di un deserto. L’esplosione vera e propria, però, avviene quando per la prima volta la mucca fa la sua apparizione sullo schermo: perfettamente integrata in un contesto convenzionalmente “riservato agli umani”, suscita fin da subito una grande ilarità. Una volta “abituati” a tali bizzarrie, però, i toni del lungometraggio cambiano, pur mantenendo il forte surrealismo che caratterizza tutta l’opera. Ed ecco che il comico – pur restando appartato in un angolino – lascia spazio alla riflessione, per un “secondo tempo” più contemplativo e ricco di citazioni e riferimenti (impossibile non ricordare, a tal proposito, il riferimento a Stanley Kubrick – con tanto di monolito – ed al suo 2001: Odissea nello spazio, così come ad Isaac Newton, nel momento in cui una mela cade in testa alla nostra protagonista mentre quest’ultima è intenta a leggere ai piedi di un albero).
Un’opera bizzarra, questa di Tião. Bizzarra e fortemente provocatoria – con un importante sottotesto alla base – surreale ed esilarante, ma che, purtroppo, mal cela significative difficoltà nella gestione dei tempi. Il vero problema di Animal politico, infatti, è quello di tendere involontariamente a ripetersi ed a ripetere incessantemente ed in modo talvolta ridondante concetti già espressi, quando, magari, sarebbe stato sufficiente realizzare anche solo un mediometraggio per raccontare ciò che Tião ha qui messo in scena.
Capitano scivoloni del genere, quando si è alle prese con un’opera prima. Soprattutto se quest’ultima tratta un tema di tale portata che viene messo in scena in chiave surreale e grottesca. Un’opera rischiosa, se la si vuol vedere sotto questo punto di vista. Eppure, tutto sommato, un’opera che fa ben sperare nelle future realizzazioni di Tião, sul quale tutto si può dire, tranne che non sia un cineasta coraggioso e brillante come non se ne vedono molti in circolazione ai giorni nostri.
Marina Pavido