Arriva la tempesta
Parlare d’amore è difficile. Il confronto a viso aperto con un sentimento così complesso rischia sempre di mandare al tappeto coloro che provano ad avventurarsi nelle sue innumerevoli sfumature, dinamiche, implicazioni e variabili. L’amore è imprevedibile perché disegna traiettorie che per natura non seguono schemi predefiniti. Di conseguenza, le possibilità di lasciare più di una cosa in sospeso sono altissime, così come quelle di banalizzare. Qualcuno un giorno quando ha detto che “l’amore è un giocattolo senza il libretto d’istruzioni” non è andato tanto lontano dal dire una grande verità.
Non si contano più oramai quante volte esponenti più o meno noti della Settima Arte, di ieri e di oggi, a tutte le latitudini, si siano misurati con l’universalità di un tema, di un sentimento o di uno stato d’animo (chiamatelo come volete), indecifrabile. Per quanto ci si possa sforzare di rispolverare con la mente chi ne è uscito indenne nel passato più o meno recente, ci sarà sempre quella mancanza, quel qualcosa che non lo renderà completo. Per non cadere nell’errore, per quanto ci riguarda, bisognerebbe trovare un approccio a una materia così liquida o un punto di vista su di essa capace di differenziarsi, di non generalizzare e di dare un senso all’opera di turno, indipendentemente dalla provenienza e dalla destinazione. Ma rimanendo circoscritti al cinema, nello specifico, abbiamo deciso di promuovere un film come Amori che non sanno stare al mondo perché, per ammissione della stessa Francesca Comencini che lo ha (ri)scritto e diretto, adattandolo e rimodellandolo per il grande schermo dopo averne anticipato storia e personaggi nell’omonimo romanzo del 2013, non è un film che parla a 360° d’amore, ma è un film che racconta di un amore, quello tra un uomo e una donna, nel mondo che lo ha accolto, accompagnato e visto finire. Claudia e Flavio si sono amati, a lungo e morbosamente. Poi tutto è finito, e per lei è stato un trauma. Dopo anni, quello che entrambi vedono è un mondo alla deriva, come un’isola. Lui ha la furia di andare avanti, tornare a terra; lei non vorrebbe dimenticare mai. Flavio incontra Giorgia: basta un attimo tra loro e la pioggia d’estate fa il resto. Claudia e Nina si conoscevano già, ma non immaginavano che il loro rapporto si sarebbe trasformato in amore. Eppure Nina è bellissima, e il suo abbraccio ha una forza a cui nessun donna può sottrarsi.
Amori che non sanno stare al mondo ha nel suo Dna drammaturgico un approccio alla materia e un punto di vista personali. Esattamente quello del quale si accennava in precedenza. Ciò determina, al di là dei meriti e dei demeriti riscontrabili in fase di analisi critica, che restano tuttavia assolutamente soggettivi, le sue peculiarità, che ne fanno una pellicola capace di trovare la sua strada e un motivo di essere. Da una parte, come l’Ozon di CinquePerDue – Frammenti di vita amorosa o il Dieci inverni di Valerio Mieli, la specificità nel modo di raccontare una vicenda amorosa sta nel restituirla attraverso una riuscita frammentarietà narrativa, che dà forma e sostanza sulla timeline a un flusso di coscienza che genera a sua volta una sorta di “puzzle audiovisivo”, che in letteratura forse ha trovato corrispondenze, analogie e fonte d’ispirazione in “Frammenti di un discorso amoroso”, quando il suo autore, Roland Barthes, scrive: «Quello che viene proposto è, se si vuole, un ritratto; ma questo ritratto non è psicologico, bensì strutturale: esso presenta una collocazione della parola: la collocazione di qualcuno che parla dentro di sé, amorosamente, di fronte all’altro (l’oggetto amato), il quale invece non parla». Allo stesso modo, la Comencini compone il suo ritratto, alternando frammenti di passato e presente di una storia che non ha avuto il l’happy ending sperato. La regista capitolina ne rimette insieme le fasi (dal colpo di fulmine sino al suo lacerante epilogo) e lo fa come si fa quando si raccolgono i cocci di un qualcosa andato in frantumi. Questo procedere ellittico, che ci mostra come la fiamma si è andata spegnendo, passando attraverso i colori del dramma e della commedia, ci ha convinto e coinvolto empaticamente, nonostante il punto di vista utilizzato sia per forza di cose femminile. E qui risiede l’altro aspetto che si ha convinto della bontà dell’operato della Comencini, ossia la capacità del suo film di assumere il punto di vista di Claudia, ma senza condannare e giudicare l’altra faccia della medaglia, vale a dire il personaggio di Flavio.
Nota di merito agli interpreti, a cominciare da Lucia Mascino (Claudia) e Thomas Trabacchi (Flavio), che con le rispettive interpretazioni contribuiscono a dare all’opera, ai loro personaggi, alla recitazione e alla storia, quella veridicità che sono sempre più merce rara al giorno d’oggi.
Francesco Del Grosso