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Revenge

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VOTO: 7

Lady vendetta

Chi parla di sesso debole sul grande schermo probabilmente non ha ancora avuto modo di vedere Revenge. L’opportunità per noi si è presentata alla 35esima edizione del Torino Film Festival, dove la pellicola di Coralie Fargeat è stata presentata nella sezione After Hours, a qualche mese di distanza dalla premiere in quel di Toronto 2017. E dopo la visione, dopo aver visto sino a che punto riesce a spingersi pur di sopravvivere e consumare la propria vendetta, non possiamo che confermare che con la protagonista dell’opera prima della cineasta francese, la galleria di donne guerriere al cinema si arricchisce di una nuova letale esponente. Certo non siamo ai livelli delle ferocissime Sook-hee di The Villainess o della Lorraine Broughton di Atomica bionda, tantomeno della sposa di Kill Bill o della Nikita bessoniana, ma la Jen di Revenge è comunque una di quelle bad girls che sarebbe meglio non fare arrabbiare. La protagonista, una lolita dei giorni nostri tremendamente sexy e combattiva, viene invitata dal suo ricco amante alla tradizionale battuta di caccia che l’uomo è solito organizzare con due amici. Lontana da tutto e immersa nello spettacolare scenario del Grand Canyon, la ragazza diventa ben presto preda del desiderio degli uomini e la gita prende una piega inaspettata.
A vestire i suoi panni è stata chiamata la bellissima e magnetica Matilda Lutz, qui alle prese con una performance soprattutto fisica. Con questa, l’attrice e modella milanese, finisce con il monopolizzare su di sé tutte le attenzioni degli spettatori di turno, in particolare di quelli maschili. Ed è proprio sulla fisicità e sulla componente estetica dell’interprete principale che la Fargeat ha furbescamente puntato per sedurre il potenziale fruitore del suo esordio sulla lunga distanza. Di conseguenza, gli occhi sono tutti su di lei, con il terzetto maschile rilegato, come da pronostici, a null’altro che a un gruppetto di comprimari da spedire all’inferno. Ed è quello che il personaggio della Lutz si impegnerà a fare per gran parte della timeline, ossia sino a quando l’ultima goccia dei litri di sangue sparati sullo schermo non sarà versata.
Revenge non è altro che la cronaca truculenta del cammino di vendetta di una preda che nell’arco narrativo (se così si può chiamare) riesce a rovesciare a colpi di fucile e di mannaia i ruoli sul campo di battaglia (le distese di terra e roccia del Grand Canyon), quanto basta per diventare la vera cacciatrice. Anche se la trama, come avrete facilmente intuito, è senza ombra di dubbio ridotta ai minimi termini, tuttavia è possibile rintracciare in essa una potenziale chiave di lettura meno terra terra, capace di sottrarre almeno per un attimo il film da una visione meramente di intrattenimento. Ed è la stessa cineasta transalpina a sottolinearcela quando afferma nelle sue note regia che: «Revenge è la storia della mutazione di una donna. […] Si trattava di simbolizzare la mutazione di un certo modo di rappresentare la donna al cinema, troppo sovente vista come semplice comprimario o come oggetto sessuale da svestire o sminuire. Inizialmente il film gioca con questo tipo di rappresentazione, spingendola poi all’estremo fino a sfociare nella sua controparte brutale. A quel punto la protagonista diventa la vera figura forte del film, supereroina donna e motore dell’azione». Ora siamo pronti anche a condividere tale prospettiva, ma la componente action resta per noi il principale motivo di interesse nei confronti di una simile operazione. Si perché in quella firmata dalla Fargeat la narrazione e il disegno dei personaggi finiscono di default in secondo piano. In tal senso, l’approccio ideale a un film di questo tipo è quello di abbassare sia le pretese narrative che quelle riguardanti la soglia di credibilità. Quest’ultima per scelta della stessa autrice deve essere messa da parte. Del resto, vedere un personaggio che per gran parte del tempo se ne va in giro a sterminare cattivoni con un paletto di legno conficcato nella pancia non va per niente nella direzione del realismo e della credibilità, alla pari di moltissime altre situazioni analoghe (vedi l’uccisione di Dimitri).
Revenge va preso, dunque, per quello che è, ossia un classico revenge-movie divertente e riuscito, iper-cinetico (davvero degna di nota la regia, che tocca il picco nel faccia a faccia finale nella villa), ludico e citazionista, perennemente sopra le righe quando si concede parentesi splatter. Solo dopo aver accettato le regole del gioco, solo allora lo spettatore potrà entrare in perfetta sintonia con l’opera e le intenzioni di colei che le ha dato forma e sostanza sul grande schermo.

Francesco Del Grosso

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