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Altri dieci giorni tra bene e male

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VOTO: 6.5

Ombre hard boiled a Istanbul

Storicamente la Turchia ha sempre faticato a produrre opere di un qualche interesse. La cinematografia turca, escluse alcune isolate perle di registi indipendenti appartenenti magari alla minoranza curda, si è sempre distinta per risibili remakes di successi internazionali e per lavori autoreferenziali di niuno fascino. Anche le soap operas di marca turca che recentemente hanno invaso la nostra televisione non brillano per una particolare qualità. La visione, dunque, del film Netflix Altri dieci giorni tra il bene e il male, secondo capitolo di una serie alla quale si aggiungerà in futuro un terzo titolo, permette di nutrire qualche speranza per una definitiva evoluzione della cinematografia turca. Miracoli dello streaming? Presto per dirlo, anche perché siamo ben lontani dal capolavoro. Tuttavia, i segnali ci sono. Il film, anche questo tratto da un libro dello scrittore turco Mehmet Eroglu, campione di vendite in patria, segue le vicende dell’investigatore privato Sadik (Nejat Isler), ancora una volta chiamato a risolvere un intreccio pericoloso tra le ombre di Istanbul mentre elabora un pesante lutto. Alla regia troviamo nuovamente Uluc Bayraktar. Mantenere lo stesso manico ha tra le conseguenze quella di confermare pregi e difetti del capitolo precedente. L’opera si divide fondamentalmente in due sottotrame maggiori con alcune ramificazioni. Un espediente abbastanza comune nel genere investigativo odierno. Tuttavia, si avverte una certa fatica nel gestire tutti i fili del racconto per creare un ordito coerente che riesca a disvelarsi con ordine davanti agli occhi dello spettatore con il procedere della narrazione. C’è tanto in questo film e, in alcuni passaggi, si ha l’impressione che regista e sceneggiatori abbiano voluto tagliare alcuni parti fungenti da raccordo per poter arrivare più in fretta al gran finale e non sforare troppo dalle due ore di durata. Viste le forzature narrative, viene da pensare che probabilmente il formato seriale sarebbe stato più adatto per una trasposizione. Un’approssimazione che si riverbera anche su alcuni personaggi, soprattutto quelli secondari. A parte il protagonista sono davvero pochi i caratteri che non si dimostrino bi-dimensionali. Verrebbe dunque da pensare che non valga la pena vedere quello che parrebbe proprio essere l’ennesimo prodotto scadente di una cinematografia periferica. Epperò, con tutti i suoi difetti, il film di Bayraktar si rivela una visione fresca e piacevole, capace di regalare un paio d’ore di relax. Non avendo avuto accesso al materiale letterario di base non sapremmo dire quanto merito e quanta colpa sia da dividere tra Eroglu ed il gruppo di lavoro di Netflix per l’esito altalenante del prodotto finito. Ciò nondimeno, non ci sentiamo di condannare l’opera. Forse, perché vogliamo credere che possa rappresentare il primo avviso che la cinematografia della Turchia stia finalmente riuscendo a catturare la bellezza e la complessità della propria nazione.

Luca Bovio

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