Libere di essere
Fresco del premio del pubblico nella sezione Panorama alla 74esima Berlinale, Memorias de un cuerpo que arde è approdato per la prima volta in Italia in occasione della 17esima edizione de La Nueva Ola – Festival del Cinema Spagnolo e Latinoamericano. La proiezione capitolina ci ha permesso di recuperare il secondo lungometraggio di Antonella Sudasassi, un’opera architettonicamente complessa e stratificata da un punto di vista narrativo e drammaturgico che ha dato forma e sostanza a un progetto che ha rappresentato una vera e propria sfida per chi l’ha realizzata e vi ha preso parte.
La sfida in questione stava nel riuscire a dare vita a una serie di parole che sono rimaste imprigionate per troppo tempo e che Ana, Patricia e Mayela hanno finalmente osato confidare alla regista senza rivelare il loro vero sé. Il solo fatto di averla portata a termine è già di suo una grande conquista e un merito che va riconosciuto all’autrice, indipendentemente dal livello di gradimento ottenuto. Per farlo la talentuosa cineasta di San José ha tessuto una conversazione immaginaria con le sue nonne, incarnate per l’occasione dall’attrice Sol Carballo che ha prestato loro corpo e voce. In questo flusso orale a più voci orchestrato con sorprendete delicatezza dalla Sudasassi si affrontano argomenti intimi mai esplorati prima d’ora come aspirazioni soffocate, violenze e abusi subiti. Attraverso questa misura precauzionale le tre donne protagoniste della pellicola hanno potuto parlare di se stesse senza tabù e libere dalla pressione sociale imposta al loro genere da una società machista e repressiva come quella costaricana dove sono nate e cresciute. Hanno trovato così il coraggio di parlare apertamente della loro esperienza tra ricordi, segreti e desideri inconfessabili con la macchina da presa della regista testimone oculare sempre pronta a catturarli per poi rielaborarli in chiave di fiction, mantenendo però sempre il realismo come bussola.
La Carballo veste a turno i panni delle tre protagoniste muovendosi tra le quattro mura di una casa che da prigione diventa un rifugio dove vivere una seconda giovinezza, libera dalle costrizioni sociali e dai tabù. La messinscena meta-cinematografica permette al cortocircuito spazio-temporale di materializzarsi sullo schermo con discreta efficacia, riavvolgendo costantemente le lancette dell’orologio tra lo ieri e l’oggi, dall’infanzia ai giorni nostri, con ricostruzioni storiche piuttosto curate. Ne viene fuori un intreccio poetico tra passato e presente di storie vere e dolorose che toccano e trafiggono il cuore dello spettatore, all’ascolto delle quali non si può rimanere indifferenti per l’onestà e il carico di emozioni cangianti che le caratterizzano. Memorias de un cuerpo que arde si alimenta e produce restituendo a sua volta emozioni, trasformandole nella materia prima del film.
Francesco Del Grosso