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Due fratelli

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VOTO: 7.5

Una storia, tre vite

Temi quali l’emigrazione e l’integrazione in un nuovo paese hanno sempre fatto parte del novero di tematiche a disposizione di chi parla attraverso l’arte. Questo è particolarmente vero per un paese come la Francia che, tra le eredità del proprio periodo coloniale, ha anche una forte immigrazione dalle nazioni africane un tempo dominate. Di conseguenza, i cineasti francesi si sono spesso confrontati con questi argomenti. E se alcuni, come Mathieu Kassovitz con il suo L’odio (La Haine, 1995), hanno scelto un taglio militante e crudo per parlarne, altri hanno invece optato per una dimensione più intimista del racconto. Tra questi c’è anche Léonor Serraille con il suo Due fratelli (Un petit frère), presentato in concorso al 75° Festival di Cannes e dal 31 agosto nelle sale italiane.
La pellicola si snoda in un racconto ventennale delle vicende in terra francese dell’ivoriana Rose, interpretata con delicatezza struggente da Annabelle Lengronne, emigrata inseguendo un sogno di libertà e riscatto portandosi dietro i due figli Jean ed Ernest. L’autrice decide di tripartire la narrazione con un capitolo avente per protagonista uno dei componenti il piccolo nucleo famigliare. La scelta non inficia la coerenza del racconto. Riesce, invece, a dare ampio spazio ai personaggi principali, che vengono così ad assumere il rango di personificazioni di tre lati dello stesso tema. Rose, protagonista del primo capitolo, rappresenta l’impatto consapevole con l’emigrazione, con tutti i desideri e le frustrazioni che si porta dietro. Il primogenito Jean, protagonista del secondo capitolo nel quale, 19enne, viene interpretato da un intenso Stéphane Bak che ci auguriamo possa avere una lunga carriera, rappresenta invece l’emigrazione subita alla quale ci si deve adattare. Una situazione che, come nel caso proprio di Jean, può portare ad accumulare una enorme pressione che, quando non può più essere trattenuta, sfocia in una crisi di rigetto per la nuova realtà, con effetti nefasti. La terza parte, con protagonista assoluto Ernest, ben reso nella sua umanità da Ahmed Sylla, è l’immigrazione vissuta come un fatto acquisito. Ernest, che praticamente non ha memoria della Costa d’Avorio, è quello che si potrebbe definire un “nuovo francese”, al quale però non si permette di integrarsi completamente. Proprio in questo ultimo capitolo abbiamo l’unica vera scena di razzismo esplicito nei confronti di un immigrato. Un tema, quello del razzismo, che la regista ha preferito lasciare sullo sfondo per il resto della pellicola, concentrandosi sul lato più intimo ed emotivo dei protagonisti, ognuno alle prese con il proprio lato del processo di emigrazione ed il conseguente tentativo di integrazione in Francia. Delicata ed elegante sineddoche circa le difficoltà immateriali che gli emigranti in Francia devono affrontare, Due fratelli evita la facile trappola di emettere giudizi e di cercare una chiusura definitiva per la storia. Processi quali l’emigrazione, e ciò che comportano, sono in continuo mutamento, offrendo così sempre nuove versioni di sé. Il finale aperto della pellicola, con tutta la sua delicatezza, e forse in maniera un poco consolatoria, ribadisce vieppiù questo concetto.

Luca Bovio

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