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Allied – Un’ombra nascosta

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VOTO: 7

Fantasmi di guerra

Quando un cineasta del calibro di Robert Zemeckis gioca marcatamente con i generi e il cinema del passato – cosa avvenuta, tanto per fare un esempio, con Le verità nascoste (2000) – il risultato è spesso molto elegante nella forma lasciando però un minimo a desiderare nella sostanza. Questa sua ultima fatica dal titolo Allied (alleati, congiunti per estensione del termine. Quasi un paradosso guardando il film…) conferma tale tendenza. Con questa impeccabile passeggiata in punta di cinepresa tra generi differenti, il regista originario di Chicago punta decisamente in alto, tanto sono evidenti gli echi hitchcockiani e non solo in un lungometraggio che fa dell’inganno la sua peculiarità principale, mettendo in scena con indubbia maestria un illusorio gioco di specchi dove nulla potrebbe in realtà essere come appare. E la fascinazione di Zemeckis per la perfetta sovrapposizione tra racconto diegetico e apparato meta-cinematografico (l’ultima grande mistificazione di un tempo ormai perduto?) trasuda in modo cristallino da ogni fotogramma di Allied – Un ombra nascosta come recita la completa titolazione italiana.
Siamo nel 1942. Max Vatan (Brad Pitt), ufficiale canadese di stanza a Londra, è coinvolto in una pericolosa missione in Marocco. A Casablanca – luogo già di per sé evocativo al grado più alto, da un punto di vista cinefilo – conosce Marianne Beauséjour (Marion Cotillard), affascinante donna francese del controspionaggio che dovrà fingersi sua moglie allo scopo di portare a termine l’incarico loro assegnato. Senza entrare ulteriormente nel dettaglio di un’opera la cui anima potrebbe essere in fondo assimilata a quella di un noir vecchia maniera, ragion per la quale le numerose svolte della trama vanno vissute e non raccontate, è certamente possibile sottolineare la fluida disinvoltura con cui Zemeckis alterna i vari registri narrativi. Allied parte come un’intricata spy- story, apre una parentesi d’azione molto pertinente al contesto per poi scivolare pian piano nel melodramma più acceso, almeno fino a quando “l’ombra nascosta” citata dal sottotitolo italiano non tornerà a riportare il film sui binari ai quali si faceva riferimento poc’anzi. Come affermano i due protagonisti in uno dei molti dialoghi pregnanti del film, abbandonarsi ai sentimenti può essere rischioso, in special modo se eserciti l’insidioso mestiere della spia; ma tutto sommato anche nella vita comune. Ed è in questo simbolico “campo minato” che Zemeckis sposta la vera guerra della prima parte in un altro conflitto se possibile ancora più cruento, cioè l’impossibilità di conoscere realmente anche la persona con la quale si vive ogni giorno fianco a fianco. Un raffinato gioco di scatole cinesi che riporta la Settima Arte ad una dimensione esplorativa e in qualche modo primordiale, con il fattore temporale che ritorna prepotentemente a rivendicare la propria centralità come quasi sempre accaduto nel cinema di Zemeckis, dalla saga di Ritorno al Futuro sino a Cast Away (2000). Un tempo che in Allied è riconoscibile solo perché storicamente collocabile nella sua cornice narrativa, ma che diviene indefinito allorquando viene osservato attraverso prospettiva obliqua delle emozioni umane. Aspettando un completamento forse impossibile da ottenere in quanto del tutto illusorio e soggettivo, come ben dimostra la sequenza iniziale del film, con il personaggio interpretato da Brad Pitt che si paracaduta verso un deserto marocchino che pare non arrivare mai sotto i suoi piedi. Solo una semplice questione di prospettiva, insomma.
Qualcuno, tra i detrattori, potrà rinfacciare ad Allied un eccesso di glamour sia nelle performance attoriali che nella messa in scena; ma non è questo il problema di un film con tutta probabilità da gustarsi nella sua dimensione più puramente ludica. Semmai da uno sceneggiatore – nonché regista – di vaglia come Steven Knight (La promessa dell’assassino di David Cronenberg come sceneggiatore, il magnifico Locke come regista e autore dello script, tra gli altri) sarebbe stato lecito attendersi una maggiore interiorizzazione del tormento morale vissuto dai personaggi, così da scrivere un nuovo capitolo della Storia umanista della Settima Arte. Così com’è Allied resta invece un brillante e teorico esercizio di stile, tanto piacevole inquadratura dopo inquadratura quanto prevedibile nelle sue evoluzioni narrative. Almeno al punto in cui siamo abituati a “leggere” tra le righe di un’opera cinematografica oggi.

Daniele De Angelis

 

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