Commedia su una vita senza colore
Secondo giorno dell’ÉCU European Indipendent Film Festival 2020, e grandi protagonisti i cortometraggi. Proiettati prima del film serale, l’americano Adverse (uno dei pochi prodotti non europei della rassegna), hanno fatto sfoggio della grande creatività e libertà che spesso si nota in questo genere di prodotti. Al netto di alcuni esempi di “esercizi di stile”, alcuni ben riusciti altri meno, spiccano su tutti tre titoli molto interessanti. Il primo, l’olandese Mind my Mind, è un bel racconto d’animazione che, prendendo come spunto la nota idea della nostra mente quale sorta di ufficio o archivio (già vista per esempio in Inside Out della Pixar), ragiona sulla timidezza e sul desiderio di essere accettati per ciò che siamo, indipendentemente dalle inevitabili pressioni sociali che cercano molto spesso, e a torto, di uniformarci. Il secondo, lo svizzero Dispersion, è una brutale constatazione della nostra realtà sempre più fasulla ed alienante che, spaventosamente, non ci abbandona neanche durante una straniante e distopica visione di un funerale, quasi fosse anch’esso uno dei tanti prodotti industriali squallidi e di basso profilo che avvelenano le nostre vite. Ma la vera gemma di cui andiamo a parlare è, a nostro avviso, il cipriota A Jar of Nuts.
Giorgos (Makis Papadimitriou) è un impiegato statale quarantenne, solo, senza passioni e con una visione cinica della vita. Senza alcun entusiasmo per essa, decide che è il caso di farne tutto sommato a meno e lo decide, a differenza di quello che si potrebbe pensare, senza alcuna angoscia e con assoluta lucidità. Il suo ragionamento, che conduce all’estremo la sua attitudine a vedere le cose con distacco, lo porta a soppesare ogni pro e contro della questione, optando alla fine per quella che pare la soluzione più logica. Suicidarsi dunque, anche in virtù del fatto che pochi mesi prima la madre, sua unica compagnia nella modesta abitazione in cui vive, è morta soffocata da uno dei pistacchi che stava mangiando. Non lo sfiora minimamente l’evidente attrazione che prova per lui la vicina (Katerina Latta) che, con grandi sorrisi, gli prepara delle ricche colazioni che egli a malapena assaggia senza neanche degnarla di uno sguardo. D’altra parte, in uno dei passaggi più arguti della storia, Giorgios ritiene che l’amore non sia una condizione sufficiente per vivere: in fondo richiede tempo per essere cercato e, esattamente come la vita, finisce comunque in tragedia, quindi perché scomodarsi? Con altrettanta freddezza prende a considerare l’efficacia dei metodi diversi con i quali può uccidersi e, dopo un’attenta valutazione dei due migliori sistemi, la pistola o il lanciarsi dal suo balcone, propende per quest’ultimo. Anche questo gesto, come tutti quelli compiuti quotidianamente, viene pianificato nei minimi dettagli. Giorgios allora si rade, si veste in modo accurato e, a mezzogiorno in punto, sale sul balcone solo per accorgersi che, sbadatamente, non ha innaffiato i suoi adorati cactus, cosa cui bisogna prontamente rimediare. E’ l’inizio di una serie di contrattempi, imprevisti e disavventure che rallentano inesorabilmente il piano apparentemente ben congegnato dell’aspirante suicida. Un lungo pomeriggio in cui c’è tempo per riflettere sul suo rapporto con il mondo, con la presenza ancora ingombrante della madre e con i suoi reali bisogni e desideri, probabilmente repressi e ora compresi troppo tardi. Il tutto mangiando da una giara i pistacchi acquistati a 2,99€ dal negozio all’angolo.
Il regista Savvas Stavrou, anche autore della brillante sceneggiatura, sfodera un linguaggio e uno stile che, sebbene schiettamente mediterraneo, sa di tetro humor britannico, usando tempi e battute tipiche dell’ironia e del fatalismo d’Oltremanica, soprattutto quando l’argomento principale è appunto la morte. Lo scenario dimesso, l’assoluta semplicità degli ambienti in cui si muove Giorgios, con suppellettili, elettrodomestici e mobilio palesemente datati, richiamano a un’esistenza ovviamente priva di colore, anonima, mai interessata al nuovo, al futuro. I dialoghi sono praticamente assenti, è la voce narrante, infatti, a spiegarci con spassosa disinvoltura i rigidi calcoli alla base del comportamento del protagonista, commentando le sequenze abilmente montate e a cui vengono spesso in aiuto piccole animazioni che, con frecce e altri stratagemmi, ci aiutano a notare tutti i dettagli della vicenda. Si tratta dunque di diciassette minuti di intelligente narrazione, di ottima capacità di illustrare l’assurdità degli eventi, aiutati anche dalla fisicità di Papadimitrou che persegue senza sosta il suo obiettivo senza mai scomporsi, con la glacialità che si potrebbe avere nei confronti di una banale pratica burocratica. Si ride, ma si ride amaramente, perché mano a mano che che il lungo, folle pomeriggio si allunga verso sera, cominciamo a comprendere quale siano in verità i motivi delle intenzioni di Giorgios, quali siano i suoi desideri per continuare a vivere e quali le necessità di un uomo che, probabilmente, comincia solo ora ad averle drammaticamente chiare, quando ormai la tragicità del destino ha preso il sopravvento. Alla meschinità e ai colpi bassi della vita, alle volte, è difficile sfuggire, anche quando ci si impegna in modo così radicale.
Massimo Brigandì