Come la società ci vede
Nel momento in cui per la prima volta si è parlato del lungometraggio A Different Man, ultima fatica del regista statunitense Aaron Schimberg, in concorso alla 74° edizione del Festival di Berlino, in molti hanno inevitabilmente pensato al bellissimo e straziante The Elephant Man, diretto da David Lynch nel 1980 e ispirato alla vita John Merrick, vissuto a Londra nell’Ottocento e gravemente deturpato in volto a causa della neurofibromatosi. Volendo considerare, dunque, le condizioni in cui vive Edward (impersonato da Sebastian Stan), il protagonista di questo lavoro di Schimberg, indubbiamente vi sono numerosi parallelismi con il lungometraggio di Lynch, dal momento che anch’egli soffre della medesima patologia di Merrick. Eppure, come vedremo a breve, A Different Man prende ben presto una direzione totalmente differente, trattando un discorso altrettanto complesso e non così banale come potrebbe inizialmente sembrare.
Il nostro Edward, dunque, ha il volto totalmente deturpato e sogna di diventare attore. Egli vive da solo in un piccolo appartamento in cui, insieme a strani rumori, anche spaventose perdite dal soffitto contribuiscono a creare un’atmosfera alquanto sinistra. La sua vita, tuttavia, cambia improvvisamente nel momento in cui i medici decidono di sperimentare su di lui una cura “rivoluzionaria”, che nella migliore delle ipotesi potrebbe ridargli il suo aspetto originario. Il desiderio di trascorrere una vita “normale” e, soprattutto, l’amore – non corrisposto – per Ingrid (Renate Reinsve), una sua affascinante vicina di casa che sogna di diventare drammaturga, spingono il nostro Edward ad accettare il trattamento. Ben presto il suo aspetto cambierà. Ma sarà la sua vita così soddisfacente come aveva inizialmente sperato?
A Different Man parla innanzitutto del rapporto che abbiamo con noi stessi e di come, di conseguenza, la società ci vede. Edward è ormai affascinante e sicuro di sé, ha un lavoro di successo e, volendo, potrebbe addirittura sperare di conquistare Ingrid, la quale, a sua volta, lo crede morto e ha addirittura scritto un’opera teatrale ispirata a lui. Eppure, qualcosa lo frena. Che sia “colpa” del carismatico Oswald (Adam Pearson, realmente affetto da neurofibromatosi), che ben presto gli ruba la scena e la ragazza?
Aaron Schimberg, dal canto suo, non ha paura di osare, di conferire a questo suo lungometraggio un tono spesso comico e grottesco, ma anche volutamente respingente, grazie (soprattutto per quanto riguarda la prima parte) a effetti speciali più che realistici, alla netta prevalenza delle ombre sulle luci, a una colonna sonora che resta immediatamente in testa e ad ambientazioni che tanto ci ricordano Il mostro di St. Pauli (Fatih Akin, 2019). E tale operazione, tutto sommato, può dirsi indubbiamente riuscita, sebbene, dalla seconda metà in avanti, il tutto perda di verve e tenda spesso e volentieri a girare a vuoto (soprattutto per quanto riguarda alcune soluzioni man mano che ci si avvicina al finale). “Epilogo” prevedibile? Può darsi. D’altronde, portare avanti un’idea di tale portata non è affatto un compito facile. È un peccato, dunque, che il presente A Different Man tenda progressivamente a perdersi, “accontentandosi” di diventare solo una divertente commedia dalla personalità nemmeno troppo forte. Le basi c’erano tutte, la regia anche. Bisognerà vedere se, in futuro, il nostro Aaron Schimberg riuscirà a regalarci qualcosa di realmente d’impatto.
Marina Pavido