Calma apparente
Un padre, una figlia. Due diverse personalità, un inevitabile scontro generazionale. E poi l’adolescenza (con le naturali crisi che porta dietro di sé), l’estate, i primi amori e la ricerca di una propria identità e di un proprio posto nel mondo. Se trattati con la giusta sensibilità ed uno sguardo empatico ma allo stesso tempo distaccato al punto giusto, tali temi – pur essendo stati già ampiamente sfruttati – possono comunque dar vita ad un prodotto di tutto rispetto. E, in questo caso, la giovane e poliedrica regista serba Tamara Drakulić, con il suo Wind – tratto dal racconto “Kites” di Ana Rodić e presentato in concorso, nella sezione Torino 34, alla 34° edizione del Torino Film Festival – ha dimostrato di avere la mano giusta – né troppo lieve, né troppo pesante – per raccontare una storia semplice ma assolutamente non facile come quella qui messa in scena.
Ci troviamo sulle sponde del fiume Bojana. La sedicenne Mila sta trascorrendo qui le vacanze estive insieme a suo padre. Calma e riflessiva, ma anche in piena crisi adolescenziale, la ragazza è in costante conflitto con il genitore, dedito all’avventura, appassionato di windsurf ed alle prese con una storia d’amore travagliata. Con il passare dei giorni, Mila scopre pian piano di essere attratta da Saša, giovane insegnante di surf del posto e a sua volta fidanzato con Sonja. Passare del tempo insieme al ragazzo la aiuterà, ad ogni modo, a prendere lentamente coscienza di sé e del suo imminente ingresso nell’età adulta.
Tale importante passaggio viene qui messo in scena, come abbiamo detto, da qualcuno che conosce bene le varie sfumature che caratterizzano l’animo inquieto di un’adolescente, i suoi desideri, i suoi sogni ed il suo spaesamento nei confronti dei cambiamenti vissuti. L’inquietudine qui raccontata, però, si contrappone del tutto alle scelte registiche effettuate che prevedono, appunto, una messa in scena quasi teatrale, con inquadrature perlopiù fisse e personaggi statici, che raramente si spostano all’interno del quadro, siano essi seduti sulle rive del fiume che adagiati su di un’amaca. Stesso discorso vale per gli avvenimenti messi in scena: fatta eccezione per il finale, infatti, apparentemente la vita si svolge tranquilla e monotona. La vera battaglia ha luogo nell’animo della protagonista.
Altro importante elemento: la splendida location sul fiume Bojana, che qui viene considerata quasi alla stregua di co-protagonista. Merito di una buona regia, così come di una fotografia dai toni caldi e tendenti al pastello, dove le luci non sono mai troppo bruciate e le scene ambientate di notte riescono comunque a trasmettere un senso di calore e di tranquillità.
Viste tali premesse, verrebbe quasi da pensare ad un André Techiné stilisticamente più “statico” o, addirittura, ad un Éric Rohmer sulla linea de Il raggio verde. Ovviamente la giovane Drakulić ha ancora un bel po’ di strada da fare per raggiungere tali livelli. Eppure, vista l’attenzione dedicata ai suoi personaggi e la messa in scena curata e consapevole, oltre alle numerose capacità della regista stessa in ambito prettamente tecnico, vi sono molti elementi che fanno sperare in un futuro salto decisivo. Attenderemo fiduciosi!
Marina Pavido