It’s a Man’s World
Non smette di sorprendere il cinema di Sion Sono. Quando lo si da per cristallizzato, fermo nella sua poetica sempre uguale a sé stessa o, peggio, ridotto a puro divertissement, piacere estetizzante perso in un climax di eccessi sempre più addomesticati e corteggiati dal mondo del mainstream, eccolo pronto, di nuovo, a cambiare rotta, a esplodere là dove meno lo si aspetta.
É il pinku eiga – il cosiddetto cinema erotico a basso costo giapponese molto in voga dalla fine degli anni sessanta – il terreno fertile dove Sono decide, allora, di mettere in scena la sua rinascita autoriale.
Lo fa immergendosi – con il consueto, eccessivo e anarchico ribaltamento di ogni regola e logica di genere – nel mondo di Kyoko, acclamata artista nipponica, instabile, sadica e ossessionata dal sesso. Ma quanto è reale quel mondo ultra-pop chiuso nelle coloratissime pareti della sua stanza, teatro di violenze fisiche e psicologiche ai danni di inermi assistenti? E se di fronte a Kyoko non ci fosse altro che una troupe cinematografica e una realtà dove i dominatori sono divenuti, di colpo, i dominati? E ancora, quale trauma, quale tremendo rimosso nascondono quei flashback stranianti, quei voli improvvisi e repentini che distruggono la linearità del racconto, stravolgono il tempo, lo spazio e qualsiasi orientamento prospettico, fino a fare scempio di ogni distinzione tra realtà e psicosi, verità e delirio?
Antiporno – opera presenta al Torino Film Festival 2016 nella sezione After Hours – con tutti i suoi dubbi e ribaltamenti prospettici, non è una svolta, né tanto meno una rottura o un cambio di direzione nel percorso del regista nipponico. Eppure, con l’estro creativo e la portata tematica dei suoi principali lavori ben in mente, Sono prende il suo intero universo di senso e lo proietta a un altro livello, condensando in poco più di un’ora di cinema fluviale e senza limiti, un’esplosione visiva e cromatica travolgente, complessa e mai conciliante.
Ecco allora tornare i traumi più o meno indicibili e più o meno sconvolgenti di opere al limite come Strange Circus, e insieme, i deliri ludici e metacinematografici di film come Why Don’t You Play in Hell?, qui però portati all’estremo di una riflessione non solo provocatoria ma anche, e soprattutto, intellettuale e politica.
In questo teatro degli orrori che è un gioco di specchi, dove la ragione si smarrisce in un labirinto di depistaggi, colpi di scena e scossoni emotivi mentre le coordinate spariscono in un vortice di sangue, colori e violenza, Sono urla, rabbioso, la sua invettiva.
É, a suo modo, un film femminista, Antiporno, un film (quasi) di sole donne, dove gli uomini sono ridotti a funzionali (e mostruose) comparse, simbolo di una società repressiva che simula la libertà per poi negarla sistematicamente, chiusa in un sistema di valori, ruoli e regole che conducono, inevitabilmente, alla follia.
Mattia Caruso