Colpe dal passato
Il carcere, si sa, ha da sempre affascinato cineasti di tutto il mondo, dati l’enorme potenziale e l’enorme appeal non soltanto della possibilità di girare un film in un’unica, angustiante e claustrofobica location, ma anche la molteplicità di approcci che ne possono derivare, sia che si voglia dar vita a un lungometraggio in cui la violenza in sé svolga un ruolo centrale, sia che, invece, si voglia puntare il tutto su complesse questioni morali. Il regista svedese Gustav Möller, ad esempio, ha prediletto il secondo approccio nel realizzare Vogter, presentato in anteprima mondiale in concorso alla 74° edizione del Festival di Berlino.
Già da una prima, sommaria lettura della sinossi, infatti, ci rendiamo conto di come il presente Vogter voglia innanzitutto indagare l’animo umano nel mettere in scena la storia di Eva (impersonata dall’attrice danese Sidse Babett Knudsen), la quale lavora come guardia in un carcere in cui, un giorno, viene trasferito il giovane Mikkel (Sebastian Bull), colpevole di aver accoltellato, durante un precedente periodo di detenzione, un suo compagno di cella. La vittima in questione era, in realtà, proprio il figlio di Eva, benché nessun altro in carcere sia a conoscenza della cosa. La donna deciderà, dunque, di farsi trasferire proprio nel braccio di massima sicurezza, dove è detenuto Mikkel. Riuscirà a mettere in atto, così, la sua vendetta o le cose prenderanno una piega del tutto inaspettata?
Vogter, dunque, si presenta inizialmente come una sorta di possibile revenge movie che, tuttavia, man mano che si va avanti con la messa in scena, tira in ballo ben più complessi giochi psicologici e ribaltamenti di ruolo. Eva desidera soltanto vendicarsi, ma, proprio dato il suo forte coinvolgimento con quanto accaduto, rischia spesso di perdere di lucidità passando “ufficialmente” dalla parte del torto. Mikkel, dal canto suo, è un ragazzo violento e pericoloso, che non mostra alcun tipo di affetto nemmeno per sua madre, ma che è pronto a scagliarsi contro chiunque possa in qualche modo contraddirlo.
Con tali premesse, dunque, Vogter ha tutte le carte in regola per rivelarsi un lungometraggio complesso e stratificato, oltre a un thriller psicologico come raramente capita di vedere sul grande schermo. Il tutto, in realtà, sta proprio nello sfruttare al massimo tale potenziale, dando vita a un tanto complesso quanto fortemente necessario crescendo di tensione. E Gustav Möller, a dire il vero, ce l’ha messa tutta per rendere il rapporto tra i due protagonisti il più controverso possibile. Il problema, però, è che gestire determinate situazioni nel modo appropriato non è affatto facile. E in questo caso, purtroppo, man mano che ci si avvicina al finale, il film tende improvvisamente a sgonfiarsi a causa di un twist forzato e di risvolti non proprio credibili. Errore prevedibile? Può darsi. Potenzialità sprecate? Indubbiamente. Ed è un peccato, dunque, che un film di tale portata possa perdere, alle fine dei giochi, pericolosamente di verve. Fatta eccezione per le ottime performance dei due protagonisti, infatti, Vogter si lascia facilmente dimenticare. E anche a questa Berlinale 2024 chi lo ha atteso con trepidazione si è detto, al termine della visione, tristemente deluso.
Marina Pavido