Nella bellezza, tante brutture
Difficilmente delude le aspettative di pubblico e critica, il regista Atom Egoyan. Particolarmente talentuoso nell’indagare nell’animo umano e nella società attraverso uno stile e una messa in scena elegante e raffinata, il regista egiziano d’origine è stato ospite alla 74° edizione del Festival di Berlino all’interno di una sezione – Berlinale Special – che mai come quest’anno vanta nomi particolarmente ricercati. A celebrare per l’occasione la sua prima mondiale, Seven Veils, la sua ultima fatica, realizzato in Canada, nonché, tramite la sua messa in scena complessa e stratificata, sentito omaggio all’arte e alla bellezza in ogni sua forma.
La storia messa in scena, dunque, è quella di Jeanine (impersonata da Amanda Seyfried), acclamata regista teatrale che, un anno dopo la prematura morte del suo amante e mentore, decide di mettere in scena quello che avrebbe dovuto essere il progetto della vita di lui: la Salomé di Richard Strauss. Non è semplice coordinare il lavoro di autori, musicisti e cantanti lirici. E, allo stesso modo, non è semplice trovare un modo innovativo e totalmente personale per mettere in atto tale progetto. La storia di Salomé, inoltre, si rivela ben presto molto più attuale di quanto potesse inizialmente sembrare e finirà inevitabilmente per intrecciarsi, a suo modo, con la storia della stessa Jeanine, dando vita a un discorso molto più ampio e complesso.
Seven Veils, dunque, è un film che si sviluppa su più livelli. Da un lato abbiamo il dramma personale della protagonista, dall’altro la pura finzione scenica. Jeanine e Salomé sono due figure apparentemente agli antipodi. Eppure, a guardare bene, sono entrambe, a loro modo, vittime di una società patriarcale pronta ad aspettarsi da loro determinati comportamenti e ad abusare di loro in ogni modo in cui il concetto di abuso in sé può essere considerato. Il passato di Jeanine, il controverso rapporto con suo padre (il cui volto troneggia in casa della stessa in un imponente ritratto di famiglia) e la sua stessa infanzia tornano in continuazione attraverso numerosi flashback durante la visione di Seven Veils. E mentre la donna è alle prese con colleghi, musicisti e attori, sul palcoscenico, durante le prove, accade la magia.
Ed è proprio a questo punto, dunque, che il presente Seven Veils spicca il volo. La danza di Salomé, circondata da uomini pronti ad abusare di lei, ha luogo esclusivamente dietro un telone bianco, proiettata in retroilluminazione e dando, così, vita a un raffinato gioco di luci e ombre. Il telone bianco è lo schermo di proiezione. Le immagini dei corpi sinuosi che prendono forma su di esso ricordano tanto le ombre cinesi risalenti addirittura ai tempi del pre cinema.
Raffinato, leggiadro, esteticamente curatissimo, che ben sa mixare cinema, teatro, metateatro e musica, Seven Veils è un’opera imponente e monumentale. Un lungometraggio che, trattando temi attuali senza paura di “sporcarsi le mani” (e nemmeno di alternare a immagini patinate riprese effettuate con un telefono cellulare), ci regala momenti di pura bellezza, dandoci, al contempo, anche parecchi spunti di riflessione. Atom Egoyan ancora una volta è riuscito a sorprenderci. E pensare che nel frattempo, in concorso, vi sono lungometraggi qualitativamente di gran lunga meno convincenti!
Marina Pavido