La realtà è spesso deludente
La frase secondo la quale la realtà sarebbe spesso deludente è una massima che è diventata molto inflazionata in questo periodo. Tuttavia, è fondamentalmente vera. In massima parte perché spesso i nostri sogni sono molto più grandiosi della realtà che ci troviamo di fronte. Uno spunto di riflessione che ritroviamo al centro di Viking, nuovo lungometraggio del regista canadese Stéphane Lafleur, presentato alle Giornate del Cinema del Quebec in Italia 2023.
Al centro della vicenda abbiamo David, interpretato da un lunare Steve Laplante, un mite insegnante di educazione fisica con il sogno di andare nello spazio. Pur non essendoci riuscito ha, però, ora l’occasione di fare comunque parte di una missione spaziale grazie al fatto che la società Viking stia mettendo insieme una squadra che funga da gruppo specchio alla missione principale. David inizia così quella che pensa essere la sua grande avventura, che sognava da tutta la vita. Con un suo stile molto vicino a quello che spesso vediamo all’interno del cinema proveniente dal Canada francese Lafleur lascia la camera fissa per la quasi totalità della pellicola. Pochissimi e brevissimi sono i movimenti di macchina. Una condotta che, come abbiamo già visto nella cinematografia dell’autore, tende a mettere fortemente in relazione i personaggi con l’ambiente che li circonda. Non siamo dalle parti del tableux vivant, quanto piuttosto di un generale interesse nell’osservare gli individui muoversi e rapportarsi nello spazio. Una questione che risalta ancora di più in questo che è un film di interni e di rapporti. La trama e la sceneggiatura puntano entrambe a fare dei rapporti tra i personaggi il fulcro dell’opera. Tentando forse di rispondere alla domanda come persone di indole e formazione diversa possano stabilire una convivenza obbligata da un obiettivo comune. La verità è che ognuno reagisce a modo suo. Attraverso la ripresa di stilemi mutuati anche da opere fantascientifiche che hanno al proprio centro l’epopea della conquista dello spazio come 2001 Odissea nello spazio, Moon e The Martian il film si qualifica così come un’opera di fantascienza intimista. Qui il punto non è tanto lo sviluppo tecnologico e le nuove sfide date dall’esplorazione spaziale. Quanto, piuttosto, il modo in cui le persone possono rapportarcisi. In particolare, coloro che da questo sogno sono rimasti ai margini. Con gli occhi e la mente colmi dell’enormità del sogno prospettato, fare parte di una missione su Marte, sebbene in una posizione di secondo piano, si ritrovano però alle prese con una realtà aasi meno esaltante. E qui torniamo al fatto che la realtà sia spesso deludente. Anche perché, alla fine, non è il grande ostacolo che ti frega, ma i piccoli problemi quotidiani. Con buon senso un poco prosaico Stèphane Lafleur mette in scena la presa di coscienza di un sognatore frustrato, il quale si scontra con la differenza che corre tra ciò che immaginava essere e quanto effettivamente sta avvenendo. Una presa di coscienza che lo porta a riconsiderare le sue scelte e chiedersi se, magari, non stesse già vivendo il suo sogno, in un luogo e con persone per le quali era veramente importante.
Luca Bovio