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Sopravvissuto – The Martian

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VOTO: 7

Un americano su Marte

Non tutti i film di propaganda debbono essere necessariamente brutti o noiosi. A maggior ragione se – ed è il caso di Sopravissuto – The Martian di Ridley Scott – la tematica apologetica finisce con il far coincidere tanto l’elogio dell’american way of life quanto la “beatificazione” del concetto di cinema hollywoodiano stesso. Insomma, The Martian è un oggetto cinematografico che può essere osservato da diverse prospettive, e questo rappresenta già un pregio insito nell’opera. Il buon esito, agli occhi del singolo spettatore, dipende invece dall’accettazione o meno di alcune regole elementari per l’approccio ad un lungometraggio (lungo assai peraltro: due ore e venti minuti) che per sua natura esplicita tende a far spettacolo su determinati stereotipi come la forza di volontà superiore ad ogni sciagura e la capacità di guardare sempre al domani come un’altra possibilità avuta in dono. Caratteristiche queste, almeno nella teoria propugnata dal film, di un intero popolo al pari del singolo individuo che va a comporlo.
La trama di The Martian è nota: una missione statunitense su Marte si conclude anzitempo causa violenta tempesta atmosferica. Nella concitazione del trasbordo l’astronauta Mark Watney (Matt Damon) viene violentemente colpito da alcuni detriti e creduto morto per un guasto al proprio rilevatore di parametri vitali. Quando si risveglia capirà ben presto di essere rimasto l’unica presenza umana sul cosiddetto Pianeta Rosso. Da lì in poi l’unica missione sarà quella di sopravvivere. Come dunque si evince dalle premesse la figura di Mark Watney assurge presto alle alte sfere del simbolo piuttosto che dello sventurato inevitabilmente condannato ad una triste fine per inedia. Fisicamente perfetto Matt Damon nell’impersonare questo personaggio alla scoperta di una nuova frontiera, c’è da registrare l’abilità con la quale Ridley Scott e lo sceneggiatore Drew Goddard (sodale di Joss Whedon nonché regista in proprio dello stimolante, enciclopedico horror Quella casa nel bosco) mettono in scena una sorta di (ir)reality show marziano solo per gli occhi del pubblico. Watney infatti, relativamente alla prima parte del film, non ha collegamenti esterni con nessuno: è la tecnologia rimasta alla base a registrare i suoi fruttuosi tentativi di uscire dall’impasse di una situazione drammatica per tutti ma non per lui, che la affronta quotidianamente con un ottimismo al di là del credibile. Già quest’assunto dovrebbe far comprendere quanto Marte sia solo un pretesto, un nuovo West fittizio dove poter piantare la consueta bandierina a stelle e strisce dell’intrattenimento di classe. E se ci si ferma a questa lettura, The Martian non può far altro che irritare per la sua auto-celebrazione di valori fuori tempo massimo in un mondo – il nostro – ben più sfaccettato e problematico. L’apparato teorico del film, al contrario, risiede tutto nella sua consapevolezza di “giocattolo” cinematografico da smontare e rimontare a piacimento così da farsi guardare con occhi sempre nuovi. Quelli del dramma, dell’ironia, del sentimento, della paura (del fallimento). Di ogni contaminazione di genere che l’appassionato di cinema può succhiare da The Martian per il proprio, inesauribile, nutrimento. In un tempo cinematografico che modella, ad uso e consumo spettatoriale, mesi e anni che inesorabilmente scorrono nella diegesi.
Ridley Scott firma così l’apogeo della sua vera natura di cineasta: non l’autore creduto per i suoi primi tre film – I duellanti (1977), Alien (1979) e Blade Runner (1982), tre pellicole a loro modo epocali – bensì l’illustre rielaboratore di un cinema popolare da lui condotto a nuove dimensioni di visione e conseguente apprezzamento. Non c’è, in The Martian, la partecipazione emotiva presente ad esempio in Castaway (2000) di Robert Zemeckis, nonostante le analogie narrative di partenza; quello di Scott è un film da vedere con gli occhi (bellissima la sequenza del recupero nello spazio, debitrice a Gravity per la spettacolarità in stereoscopia…) e filtrare con la mente, pronta a cogliere il sofisticato gioco di citazioni e rimandi capace di andare molto oltre i limiti di una confezione, a tratti, da blockbuster acchiappasoldi di routine.
Se non si vola su Marte con Matt Damon, la sempre meravigliosa Jessica Chastain ed un bel cast di volti noti, ci si arriva comunque abbastanza vicino…

Daniele De Angelis

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