Il giardino profumato
Secondo lungometraggio per la regista tunisina Leyla Bouzid, dopo Appena apro gli occhi – Canto per la libertà, presentato alle veneziane Giornate degli Autori ed ebbe anche una distribuzione italiana, Une histoire d’amour et de désir ha avuto la sua anteprima alla Semaine de la Critique di Cannes 2021 come film di chiusura. Dopo aver raccontato degli adolescenti tunisini in patria, della loro scoperta dei sensi e della vita alla vigilia della primavera araba, Leyla Bouzid esplora ora le stesse tematiche ma spostandosi nelle comunità magrebine di Parigi. Une histoire d’amour et de désir è incentrato sull’incontro di due giovani dalla diversa origine. Ahmed è un diciottenne, immigrato di seconda generazione, di origine algerina, vissuto nelle banlieue parigine, mentre Farah è immigrata da poco dalla Tunisia. Due modi diversi di vivere la propria identità, dove peraltro la ragazza si mostra più emancipata del ragazzo, come se la società dell’enclave araba in cui è vissuto a Parigi, ai margini della metropoli, non si sia mai evoluta, nei modi e nei costumi, a differenza di quanto è parzialmente successo nelle nazioni d’origine.
I due ragazzi si incontrano, si frequentano e innamorano, nelle aule e nei corridoi della biblioteca dell’università, seguendo un corso di letteratura araba comparata della Sorbonne, dove scoprono l’esistenza di testi antichi dal contenuto erotico e licenzioso di cui non avevano mai sospettato l’esistenza. Non solo Le mille e una notte, che anche nella cultura occidentale è stato spesso trasposto in modo castigato, ma anche Il giardino profumato di Cheikh Nefzaoui, il manuale del sesso del XV secolo, equivalente del Kamasutra, e il pensiero del filosofo sufista Ibn Arabi, con il suo misticismo erotico, vissuto a cavallo tra il X e l’XI secolo.
Con Une histoire d’amour et de désir la regista intende evidenziare un paradosso delle società arabe e musulmane, tendenzialmente governate da una rigida morale sessuofobica, la quale è però rappresenta un’involuzione contemporanea o degli ultimi secoli, mentre la letteratura antica testimonia di una cultura al contrario assai libera e libertina. Leyla Bouzid conduce un sottile gioco intertestuale tra immagini e parola scritta, filmando pagine di libri, lettere, scritte sulla lavagna, cercando una simbiosi figurativa tra cinema e letteratura. E così l’erotismo del film è generato, suggerito, tratteggiato in una dimensione verbale, intellettuale, con una voluttà che le immagini, più o meno esplicite, non riescono a restituire. Il culmine è nella scena della masturbazione di Ahmed, giocata con la sovrapposizione del testo scritto, di “Il giardino segreto”, vera fonte di eccitazione, dove i bordi interni delle pagine del libro si curvano a disegnare la figura della vagina. Un erotismo assai più ricco e appagante rispetto a quello della pornografia, via cellulare, dell’altra scena di masturbazione.
Il cinema di Leyla Bouzid è un cinema del desiderio adolescenziale delle nuove generazioni arabe, delle loro conquiste di libertà, dell’emancipazione femminile. In questo senso rappresenta il secondo capitolo dopo Appena apro gli occhi – Canto per la libertà, giocandosi, come nel titolo del film precedente, sugli sguardi, sulle scoperte in chiave sessuale, dei corpi, delle intimità, ma anche in chiave sociale. Così la scena che ci appare a casa della ragazza, con i palazzi circostanti, ricorda La finestra sul cortile, cardine del cinema del voyeurismo. Lo sguardo della regista è rivolto a una generazione che racconta nelle sue declinazioni possibili, in patria come nelle banlieue parigine, nelle diverse fasi della diaspora messe tra loro a confronto. Una generazione schiacciata da drammi storici, la guerra civile algerina, per cui sono emigrati i genitori di Ahmed, e le primavere arabe con la disillusione che ne è seguita, all’origine dell’espatrio della famiglia di Farah.
Giampiero Raganelli