Un’altra sporca (quasi) dozzina
Non ci sono supereroi in The Suicide Squad – Missione suicida. Bensì un’altra mirabile destrutturazione del concetto di eroismo, istanza ormai perfettamente acquisita nell’ambito della poetica del regista James Gunn. Autore capace di non perdere alcun aspetto delle proprie peculiarità in un passaggio dalla Marvel alla Dc Comics che avrebbe potuto rivelarsi decisamente complicato. Al contrario, Gunn è riuscito ancora una volta a rimarcare la propria impronta creativa, attuando il medesimo modus operandi declinandolo però sotto forme differenti.
La parola chiave, come nel suo film-manifesto Super – Attento crimine!!! (2010) è sempre umanizzazione. Portare cioè ad un livello terreno personaggi che hanno (o si illudono di avere, nel caso del film appena citato) poteri straordinari. Nella mini saga dei Guardiani della galassia – composta al momento da due lungometraggi; ma la speranza fondata è che ne seguano altri a breve – era l’amicizia, la coesione del gruppo a finalizzare con successo le avventure degli eccentrici protagonisti. In The Suicide Squad – Missione suicida – in teoria sequel del non riuscitissimo Suicide Squad (2016) di David Ayer; in pratica oggetto cinematografico a sé stante come tutti i frutti artistici di Gunn – subentra addirittura una questione di etica, da porsi in maniera ancora più incisiva in quanto il gruppo di protagonisti è composto interamente da galeotti cooptati per l’occasione. Più con le cattive che con le buone, alla maniera del classico inossidabile 1997: fuga da New York di John Carpenter, film che un cinefilo della portata di Gunn conoscerà senz’altro a memoria. Il quale Gunn, anche sceneggiatore di The Suicide Squad – Missione suicida si permette anche il lusso di un’autocitazione nelle modalità di punizione per chi non rispetta “le regole d’ingaggio”, mutuando la situazione estrema che caratterizzava un piccolo cult del calibro di The Belko Experiment (2016), da lui scritto.
Tipi da evitare, insomma, quelli votati alla mission impossible di rovesciare una dittatura militare nella fantomatica isola di Corto Maltese (Cuba libre, tra le righe?), il cui regime sta allevando in segreto una stella marina di origine aliena (!!) da usare come terribile e definitiva arma batteriologica per ricattare il mondo. Ed è stupefacente che ad un comparto d’azione assolutamente efficace in ogni suo segmento narrativo – con il prologo a ricordare quello sbarco in Normandia immortalato nella finzione da Steven Spielberg in Salvate il soldato Ryan (1998) – si affianchi una descrizione così accurata dell’evoluzione morale dei vari personaggi, ognuno dei quali alle prese con una serie problematiche pregresse con cui fare i conti in cerca di una possibile redenzione. Si dovrebbe citarli tutti, poiché restano nella mente e nel cuore. Per ragioni di spazio menzioneremo solo uno stupefacente uomo/squalo di nome King Shark, in originale doppiato da Sly Stallone, un ottimo Idris Elba nei panni del solitario e carismatico Bloodsport, la rivelazione Daniela Melchior nella commovente parte di Ratcatcher 2 ma soprattutto un’irresistibile e decisiva Margot Robbie, ormai calatasi alla perfezione nel ruolo dell’imprevedibile Harley Quinn.
La morale più evidente di una favola action dalle molteplici chiavi di lettura è che l’eroismo non deriva solamente da superpoteri, bensì dalle risorse interiori di cui ogni essere umano può essere possesso. Valore universale che rende The Suicide Squad – Missione suicida un lungometraggio adatto ad ogni tipo di pubblico, dagli adolescenti agli adulti più o meno realizzati. Tutti si divertiranno, molti si immedesimeranno ad un livello empatico decisamente insolito. Forse, alla fine di questa recensione, abbiamo trovato l’unico, autentico, supereroe del film: si tratta di James Gunn. Un “nerd” senza età capace di trasmettere stupefatta innocenza e benefica follia ad ogni inquadratura di un suo film. Oltre ad una filosofia di vita sinceramente umanista che ci sentiamo di abbracciare in toto. Che gli Dei del Cinema ce lo preservino quanto più a lungo possibile, continuando a lasciargli assoluta libertà di espressione in ogni suo progetto cinematografico.
Daniele De Angelis