L’eterno ritorno di Lovecraft
Howard Phillips Lovecraft è oggi uno dei nomi più famosi e rispettati della letteratura horror e da molti considerato alla pari di Edgar Allan Poe. Entrambi accomunati anche dal destino di un successo soprattutto postumo. L’opera di Lovecraft è oggi tra le più conosciute nel suo genere ed ha fornito ispirazione ad innumerevoli autori tra letteratura, cinema e musica. Non stupisce quindi ritrovare tracce del suo lavoro in questo La casa in fondo al lago, del duo di autori francesi Alexandre Bustillo e Julien Maury; dispiace tuttavia vedere come l’opera del maestro rimanga di gran lunga superiore. Autori che al loro esordio furono salutati come la nuova onda del cinema francese di genere i due sembrano aver perso lo smalto con una pellicola fortemente derivativa, nei temi e nella tecnica, anche se il lato tecnico è proprio quello che riserva le note migliori. Fin dalla sequenza iniziale il film presenta un forte debito di linguaggio nei confronti del mondo degli youtubers, ma questo è forse voluto essendo i protagonisti, un infantile e credibile James Jagger ed una più complessa e tra le poche note positive Camille Rowe, due youtubers specializzati nella caccia a luoghi abbandonati e misteriosi. Parimenti, fin dall’inizio, molte delle inquadrature e delle sequenze riportano alla mente The Blair Witch Project, horror americano del 1999, quello sì un film innovativo ed originale, con il suo espediente del falso documentario e delle riprese con telecamere amatoriali. Qui tuttavia i cineasti francesi hanno saputo avere un guizzo di originalità, adattando quel linguaggio visivo alle nuove tecnologie ed introducendo un drone all’interno della sceneggiatura. Attraverso questo espediente hanno potuto fondere piano diegetico ed extradiegetico, dando così corpo all’ “occhio meccanico” e riuscendo ad aumentare il senso di straniamento ed il coinvolgimento dello spettatore, purtroppo anche qui sono caduti nel tono derivativo con una incongrua citazione di HAL 9000. Il senso di derivativo e didascalico si fa tanto più forte quanto più ci si immerge nelle spire del film. Ed è qui che entra in gioco il lavoro di Lovecraft. Il riferimento all’opera del “solitario di Providence” arriva al punto di parafrasare una delle sue citazioni più note: “non è morto ciò che può attendere in eterno, e in strani eoni anche la morte può morire”; con un “non è morto, ciò che dorme”. Ma questa è solo la nota più evidente di un film nel quale la seconda parte pare essere stata presa di peso dai racconti di Lovecraft.
Per concludere; il film tradisce più volte la mancanza di una reale ispirazione da parte degli autori, i quali riescono sì a creare un’opera di buon livello tecnico, fatto soprattutto evidente nella seconda parte ambientata sott’acqua, ma che non riescono mai a dare forma a qualcosa di veramnete originale e personale, finendo per restare intrappolati in un manierismo alquanto sterile che disinnesca molto del potenziale del film, che resta comunque una visione gradevole.
Luca Bovio