You Are Now Entering Free Derry
Persino nella voce di Fulvio Grimaldi, giornalista e scrittore con all’attivo innumerevoli esperienze da inviato in regioni attraversate da feroci conflitti, si percepisce una nota strozzata, quasi incredula, al momento di ricordare ciò che avvenne il 30 gennaio 1972 nella città di Derry, in Irlanda del Nord. Perché lui era lì, quando il 1º Battaglione del Reggimento Paracadutisti dell’esercito britannico si mise a sparare con armi da guerra contro una folla di manifestanti per i diritti civili, trasformando il passaggio di un legittimo ed inerme corteo in quella mattanza inaudita, feroce, ingiustificabile, passata alla Storia come Bloody Sunday. “It’s Live”, ovvero “Sono pallottole vere”: questo è il grido allucinato proveniente dalla folla, che Grimaldi e altri testimoni del tragico evento ricordano bene, allorché gli spari cominciarono a falcidiare i manifestanti e ci si rese conto di cosa stava realmente accadendo.
Accadeva, cioè, qualcosa che in un contesto del genere poteva apparire irreale e che le autorità britanniche avrebbero continuato a negare, ipocritamente, vigliaccamente, per lunghi dolorosissimi anni. La stagione dei “Troubles” entrava così in quella fase di non ritorno, destinata ad insanguinare a lungo il territorio nordirlandese e a lasciare una scia indelebile nella memoria collettiva. Se un documentario come Bogside Story fosse semplice ricostruzione di quei fatti, già basterebbe a consigliarne la visione. Sebbene tra lavori di fiction (su tutti l’ottimo Bloody Sunday diretto nel 2002 da Paul Greengrass) e altri documentari si sia già visto molto sull’argomento. Ma la validissima ricerca compiuta da Rocco Forte e Pietro Laino si spinge oltre. E va a toccare una serie di singolari percorsi, sia comunitari che personali, da cui la dimensione del ricordo trae linfa vitale portando verso un’analisi di tale realtà indubbiamente più sfaccettata, ricca, empatica, veritiera.
I punti di vista si moltiplicano. Sinestesie di viaggio poste lungo frange dell’immaginario dominate dall’incubo, come anche dalla tenera volontà di commemorare le vittime, di non abbandonarle all’oblio e all’insensatezza della loro fine. Si scopre così che una delle foto più drammatiche scattate dallo stesso Grimaldi è poi diventata, di lì a qualche tempo, il soggetto di uno dei giganteschi, meravigliosi murales che circondano il quartiere cattolico di Derry. Manifestazione commossa, maestosa e nondimeno fiera dei sentimenti di una popolazione ferita da troppi lutti, ma incapace di arrendersi all’ingiustizia e all’oppressione. La dura cronaca di quegli anni che si fonde con la propria rappresentazione, su muri resi pertanto in grado di rivolgersi alla coscienza di tutti.
L’eccezionalità di un documentario come Bogside Story comincia man mano a prendere forma. Si sostanzia in un mosaico dolente e quantunque vivace. Il lato giornalistico assorbe progressivamente le prove più scabrose fornite da un Fulvio Grimaldi rientrato di recente in possesso di quelle tracce audio, da cui si desume che l’esercito di Sua Maestà Britannica, sprezzante nei confronti di qualsiasi regola umanitaria o convenzione internazionale, non si facesse scrupoli neanche a sparare verso i pochi giornalisti e fotografi cui non era stato preventivamente impedito l’accesso al luogo della strage. Ma poi c’è il discorso della memoria, dell’elaborazione del lutto, della comunità che si stringe attorno ai propri caduti. Ed è bellissimo che nell’intenso lavoro documentario di Forte e Laino questo aspetto si palesi andando a conoscere più da vicino, sia sotto il profilo umano che per le motivazioni artistiche e sociali, gli autori di quei murales; ossia il terzetto noto come The Bogside Artists, che dopo aver affrescato su ampie pareti il dolore e le speranze degli abitanti di Derry ha ottenuto visibilità anche all’estero. Poiché ci sono altri popoli che hanno conosciuto analoghe forme di repressione, vedi il Tibet. E i tre artisti, uno dei quali è purtroppo venuto a mancare, hanno capito come rappresentare lo spirito comune di certe lotte, anche in contesti geograficamente lontani. L’ennesimo documentario dai dichiarati intenti sociali, storici, politici e antropologici che Distribuzione Indipendente ha voluto portare in sala si fa rispettare, quindi, anche per questo, per le così rilevanti parabole esistenziali con le quali vuole farci entrare in contatto. Storie personali, storie di un popolo mai arresosi alla costante falsificazione della verità e alla violenza di stato.
Stefano Coccia