Cosa si è disposti a fare per salvare la vita del proprio figlio
E’ il 2011, l’anno dell primavera araba. In Tunisia si respira una promessa di libertà, quando le sospirate elezioni, in seguito alla caduta del presidente Zine El Abidine Ben Ali, si avvicinano. Fares (Sami Bouajila), dopo aver trascorso molto tempo in Francia, è fiducioso per il futuro del paese, ha un figlio che adora, Aziz (Youssef Khemiri), e una bella moglie, Meriem (Najla Ben Abdallah) di cui è profondamente innammorato. Ma nella vicina Libia la guerra infuria ancora, le armi non hanno finito di circolare e le ombre incombono. Durante una semplice gita, un gruppo di ribelli attacca un fuoristrada carico di soldati che precede l’auto della famiglia e, nello scontro a fuoco che segue, Aziz viene ferito in modo estremamente grave. La corsa verso l’ospedale è disperata, le speranze sono appese ad un filo. Dopo alcune ore in cui sembra dover avvenire il peggio, il medico chirurgo (Noomen Hamda) li informa che al momento il bimbo è salvo, ma non è ancora finita: la pallottola ha devastato il fegato, che è stato asportato, dunque se non si trova un organo per il trapianto non ci sono speranze.
L’operazione riuscita non è la fine di un incubo, ma l’inizio di uno ancora più grande, uno in cui bisogna lottare contro la burocrazia, le liste d’attesa, il tempo che avanza implacabile mentre le possibilità di salvare Aziz si fanno sempre più esigue. Certo, il donatore può essere un membro della famiglia stessa, ma è necessario fare degli esami per verificarne la compatibilità… o peggio ancora può emergere una verità scolvolgente che mina le fondamenta stessa di qualsiasi progetto futuro.
Come se non bastasse, consapevoli dei notevoli ostacoli che si affrontano in questi casi, si fanno presto vivi alcuni turpi figuri, persone dal volto sorridente ma dal cuore nero, che dietro la scintillante facciata di una clinica all’avanguardia, celano un abominevole traffico basato su corruzione, schiavi e gente senza scrupoli.
Fares e Meriem , una spensierata coppia fino a pochi giorni prima, ora devono cercare a tutti costi di rimanere uniti, se desiderano superare le enormi difficoltà che rischiano di schiacciarli per sempre.
Un figlio, l’opera prima di Mehdi Barsaoui, regista e sceneggiatore di questo riuscito dramma, ci conduce in un abisso fatto di guerra, morte, denaro sporco e burocrazia elefantiaca. In una terra dove le spinte progressiste si scontrano ancora con un certo arretramento culturale, dove tra gli ingranaggi farraginosi della sanità pubblica si insinua la tentazione della strada preferenziale, una i cui costi sono però altissimi, anche e soprattutto in termini umani. Solo adesso nelle sale, pur essendo stato presentato nel 2019 (Sami Bouajila ha ricevuto il premio quale migliori attore nella sezione “Orizzonti” allla Mostra del Cinema di Venezia di quell’anno), la pellicola si avvale di un ottimo cast e di una storia che cela numerosi colpi di scena, ognuno dei quali recante un ulteriore dilemma e un ulteriore spunto di riflessione. Non è facile immaginare quello che potrebbe accadere intanto che, immedesimandoci nei panni dei protagonisti, ci troviamo immersi in un labirinto di scelte difficilissime da compiere, senza mai smettere di chiederci cosa avremmo potuto fare al loro posto. L’angoscia fa rapidamente presa sullo spettatore, mentre la luce del paesaggio tunisino si alterna al buio delle fatiscenti sale ospedaliere dove il personale, umilmente e con coraggio, fa comunque del suo meglio per lavorare in modo accurato e professionale. E’ un contrasto forte, rispecchiante quello che dilania la Tunisia e che probabilmente, per certi versi, non è così diverso da quelli che emergono in giro per l’Europa.
Si corre un po’ quando è il momento di giungere all’epilogo, ma si tratta di un ottimo film, che certamente turba e fa riflettere a lungo dopo aver lasciato la sala.
Massimo Brigandì