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Un amor

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VOTO: 8

“Amores perros” in salsa iberica

Si chiama “Burbero”, almeno nella traduzione italiana, lo sfortunato cagnetto ermafrodita che farà compagnia alla protagonista fino al termine della sua agrodolce esperienza, in una cittadina spagnola che a ogni angolo pare regalare qualche stralunata, grottesca epifania. Non è certo un barboncino da salotto, il nostro Burbero: sgraziato, insofferente alla disciplina, smunto, spaesato, vittima di violenze e maltrattamenti da parte del precedente padrone tanto da avere il musetto pieno di cicatrici.
Sono cicatrici dell’anima, invece, quelle che hanno spinto la protagonista (un’intensa, selvatica, fascinosa Laia Costa) a rifugiarsi in qualche angolo remoto della provincia iberica, prendendo in affitto una sorta di casolare mezzo diroccato e dovendo per giunta trattare, per le riparazioni del caso che le toccherà comunque affidare ad altri, con un possidente locale tanto rude quanto malevolo. Se si escludono poi due perfetti outsider, ovvero un’adorabile vecchietta affetta da demenza senile e quell’omone soprannominato in paese “il tedesco” per le sue esotiche (e in realtà armene) origini, tipo dai modi ugualmente spigolosi ma con un pizzico di autenticità in più, i rapporti a dir poco difficoltosi con i paesani ci metteranno poco a far rimpiangere l’affetto nato ben presto per quel “perro” malconcio.

In concorso alla Festa del Cinema di Roma 2023, Un amor rappresenta inoltre per chi scrive un gradito ritorno: quello di Isabel Coixet, cineasta catalana che ha goduto specie in Italia di alterne fortune, soprattutto a livello critico. Regista di melodrammi contemporanei, sconfinate malinconie e sentimenti portati spesso all’estremo, la ricordiamo ad esempio con favore per Le cose che non ti ho mai detto (Cosas que nunca te dije, 1996), La mia vita senza me (Mi vida sin mí, 2003), La vita segreta delle parole (La vida secreta de las palabras, 2005) e Map of the Sounds of Tokyo (2009), esempi non casuali di una filmografia che l’ha spinta sovente a guardare fuori dai confini spagnoli, tanto da flirtare di volta in volta con l’immaginario anglosassone e persino con quello nipponico per l’ambientazione dei propri tormentati racconti cinematografici.
Già ci piaceva così. In Un amor sembrerebbe però che la natura urticante ma per altri versi appassionata delle sue “educazioni sentimentali” sia andata a fondersi con un’altra costante del cinema spagnolo degli ultimi anni, ossia quell’ambientazione rurale, un po’ selvaggia e davvero cinica nei rapporti umani, che ha fatto da sfondo di recente a svariati film di genere, siano essi horror o thriller, ma soprattutto a un piccolo capolavoro come l’acidissimo, destabilizzante As bestas (2022) di Rodrigo Sorogoyen.

Ecco, oltre a una tanto peculiare ambientazione, il film della Coixet (ispirato peraltro, come si può notare spesso nella filmografia dell’autrice, a un romanzo: nella fattispecie quello della co-sceneggiatrice Sara Mesa) con As bestas sembra avere in comune anche certi meccanismi narrativi claustrofobici, alienanti, tesi a evidenziare il carattere chiuso, bigotto, poco “inclusivo” (come si usa dire oggigiorno) e finanche violento di comunità così piccole, modeste e appartate.
Dispetti, rivalità e gelosie in simili realtà sono all’ordine del giorno. E il dramma pare celarsi continuamente dietro l’angolo, anche se non si approderà certo al livello di tragicità del più volte menzionato As bestas
Forte comunque di un’azzeccatissima colonna sonora e di una fotografia assai ispirata sia per quanto concerne gli interni che per la componente paesaggistica, Un amor riesce in questo piccolo grande miracolo, tenere in equilibrio la dimensione sentimentale cara all’autrice e quelle nuove inquietudini, ben rappresentate dalla variegata galleria di torvi, talora subdoli personaggi, introdotti con maestria (e con qualche tocco straniante) in una narrazione che rende sempre intimamente partecipi.

Stefano Coccia

 

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