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Tra due mondi

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VOTO: 8

Nell’inferno del precariato

C’è sempre un elemento paradossale nel cinema di finzione di Emmanuel Carrère, celeberrimo scrittore francese occasionalmente “prestato” alla Settima Arte. Nel caso di Tra due mondi – seconda opera da regista dopo lo straniante, geniale L’amore sospetto (La moustache, 2005) – risiede a monte della narrazione. Precisamente nella scelta operata dalla protagonista Marianne Winckler, scrittrice di professione, di calarsi nella realtà del lavoro precario allo scopo di poter scrivere un romanzo sull’argomento con maggiore cognizione di causa. Uno spunto narrativo – peraltro tratto da una vicenda realmente accaduta, immortalata in un libro inchiesta della giornalista e scrittrice transalpina Florence Aubenas – che in altre mani facilmente sarebbe potuto degenerare in uno schematismo di fondo sulla classica opposizione tra mondo intellettuale e proletariato, macrocosmi destinati magari ad incrociarsi ma mai a comprendersi sino in fondo. Una trappola chiamata prevedibilità che il regista riesce ad evitare abilmente affidandosi all’unica possibile arma in proprio possesso: la sincerità. E la cosa costituisce già di per sé un fattore sorprendente. Perché da Carrère ci si sarebbe probabilmente aspettato un tono narrativo più astratto, in linea con il suo lungometraggio precedente o al limite con alcuni suoi lavori narrativi tipo il raggelante romanzo “L’avversario”, anch’esso basato su un autentico fatto di cronaca. Al contrario Tra due mondi (titolo originale, assai evocativo, Ouistreham, con preciso riferimento sociale e geografico) brilla di un realismo assoluto e per questo in parte scioccante, nella descrizione di un universo lavorativo al femminile di totale sfruttamento economico e dispendio fisico condotto al limite delle possibilità umane. Nei tempi estremamente contingentati, come avrà modo di appurare chi vedrà il film, nei quali espletare il proprio compito professionale.
Eppure Tra due mondi possiede l’ulteriore merito di non essere solamente un film di denuncia, anche se quest’ultima istanza è ovviamente veicolata dai fatti narrati. Quella di Carrère diviene, con gradualità assai ben calibrata, un’opera sulla conoscenza tra le persone, di solidarietà estrema tra umili la cui generosità li porta a condividere il poco che hanno, compresa la capacità di legarsi affettivamente agli altri. A prescindere dalla lotta quotidiana per la sopravvivenza. Anche se alla fonte di tutto ciò sussiste una sorta di inganno che nell’epilogo non potrà che essere svelato. Con reazioni (dei vari personaggi in causa) da lasciare più che volentieri alla visione del film.
Tra due mondi – lungometraggio che ha aperto la Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2021 – deve molto della sua riuscita alla totale immedesimazione di un cast femminile perfetto, composta da attrici non professionaiste ad eccezione di una meravigliosa Juliette Binoche impegnata su molteplici registri recitativi, quasi da “effetto matrioska”. Un intellettuale che, nella finzione (relativa) del film, deve fingersi donna di mezza età segnata dalla vita invece che persona benestante e soddisfatta. Dando così vita ad un’interpretazione talmente densa di sfumature da dover essere obbligatoriamente annoverata tra le migliori dell’attrice parigina. Oltre tutto, ad aggiungere ulteriore peso specifico al film, un riflesso praticamente speculare della figura dello stesso Emmanuel Carrère, a propria volta impegnato nel confronto diretto, da regista, con una realtà che, almeno in teoria, non dovrebbe appartenergli. Non l’unica vertigine di un’opera che, al pari di altre come ad esempio il coevo Full Time – Al cento per cento di Eric Gravel, riesce ad aprire squarci di verità nei confronti di una precarietà lavorativa che tende purtroppo sempre più a divenire normalità per coloro che cercano un modo qualunque per sbarcare il lunario. Un cinema di insondabile profondità civile che, nel nostro sciagurato paese, sarebbe improponibile anche solamente azzardare come ipotesi, oggigiorno.

Daniele De Angelis

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