Roma città aperta… ai sentimenti
Corsi e ricorsi storici. Il 7 marzo 2020 il Nuovo Cinema Aquila aveva ospitato a Roma l’anteprima nazionale del film Amaremente, non il primo di Massimo Previtero ed Emanuele Di Leo ad essere proiettato in quella sala così cara al cinema indipendente, tra l’altro, considerando che proprio lì avevamo familiarizzato con la loro poetica grazie all’indimenticabile Caro nipote. Già dal giorno successivo, però, erano entrate in vigore le folli, draconiane restrizioni legate alla pandemia, tant’è che cinema e teatri con il “lockdown” sono rimasti a lungo deserti. Fa dunque doppiamente piacere che domenica 3 aprile, a poco più di due anni da allora, sia stato proprio il Nuovo Cinema Aquila a ospitare la premiere di Vorrei una vita; persino più emozionante vedere quasi tutti i posti in platea occupati, allorché è risaputo che il numero delle presenze al cinema risulti di solito molto basso, purtroppo, rispetto all’era pre-Covid.
Ecco perciò un altro piccolo miracolo attribuibile a Vorrei una vita, film nato peraltro riprendendo, ampliando e dotando di una nuova linfa vitale gli spunti precedentemente offerti da Amaremente. Anche qui troviamo una storia sentimentale delicata, sofferta, tra due uomini con trascorsi assai diversi. E analogo, volendo, potrebbe apparire il ruolo di una Roma ora accogliente e ora cinica, respingente. Come pure gli apprezzabili messaggi contro l’omofobia e il pregiudizio in genere, che emergono dal movimentato intreccio.
Eppure, a nostro avviso, questo nuovo lungometraggio che Emanuele di Leo (in qualità di regista) e Massimo Previtero (come attore protagonista e co-autore) hanno realizzato segna un’ulteriore maturazione, sia a livello stilistico che narrativo. La storia di Michele e Francesco si tinge innanzitutto di coloriture inedite, rispetto ai precedenti film, rifrangendosi poi in un ritratto dell’Urbe ancor più caleidoscopico, sfaccettato, umanamente ricco. Oltre ad assorbire in modo spigliato parecchi omaggi cinefili (dal girare scene nei luoghi più amati da Pasolini all’autocitazione di Amaremente stesso, dal citare Bellissima di Luchino Visconti tramite immagini di repertorio al parafrasare ironicamente la famosa scena dello spogliarello di Sophia Loren davanti a Mastroianni in Ieri, oggi, domani), l’emotivamente denso racconto cinematografico spazia più del solito, inglobando parentesi melodrammatiche, siparietti umoristici (a volte in linea coi toni del precedente Vincenzo il pastore lucano), un almodovariano gusto del travestimento e persino una sequenza da “poliziottesco” italiano anni ’70.
Classico film dove si ride e si piange, potremmo dire. Vi è ancora qualche incertezza nel registro linguistico da usare in certi dialoghi, volendo, ma nel complesso la sceneggiatura appare molto più strutturata, curata, al pari di riprese che hanno visto qui un’attenzione maggiore anche nei confronti del suono, elemento rilevante sia per quanto concerne i rumori della città che, a maggior ragione, per l’appeal emotivo di una colonna sonora di grandissimo impatto, rispetto alla quale è d’uopo ringraziare le composizioni vibranti (e la voce stessa) del Maestro Angelo De Maio.
Ultimo ma fondamentale ingrediente: il cast. Attorno alla ritualizzata presenza di Massimo Previtero, ormai un costante riferimento empatico per il pubblico, si è costituita col tempo una piccola “factory”, che intanto vede interagire con profitto sul set bravi interpreti presi dal teatro e attori non professionisti. Altrettanto proficua ci appare la tendenza a confermare i volti più amati dei precedenti film affiancando a questi la verve e la qualità interpretativa di qualche “new entry”: da segnalare in tal senso l’ottima prova del co-protagonista Marco Giannini, perfettamente in grado di mescolare sentimento, umanità e doti umoristiche nel suo approccio con il partner. Allo stesso modo Michela Scarlett Aloisi, che in Amaremente aveva un ruolo più piccolo ma in ogni caso vivace, qui con qualche scena in più a disposizione e da sorella del protagonista ha saputo stregare il pubblico grazie alla propria naïveté, un po’ come è solita fare a teatro. E poi i vari Jano Di Gennaro (tra i più sciolti in assoluto), Valerio Raffaelli, Emilia Guariglia, Antonella Banchero, Giuliana Russo, Candida Ricco, Dario de Francesco e Gianni Vigliana, solo per citare alcuni dei ruoli più in vista, meritano senz’altro una menzione, trovandoci noialtri al cospetto di un’opera corale in cui anche i personaggi cosiddetti “minori” riescono a lasciare un’ impronta forte nella narrazione.
Stefano Coccia