Home Festival Torino 2014 Thou Wast Mild and Lovely

Thou Wast Mild and Lovely

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VOTO: 7.5

Il diavolo nei dettagli

Una breve ma intensa esperienza dietro la macchina da presa è alla base della retrospettiva dedicata alla giovane filmmaker e interprete Josephine Decker all’ultimo Torino Film Festival. Secondo dei due (il primo è Butter on the Latch) lungometraggi presentati (insieme a un paio di interessanti cortometraggi), Thou Wast Mild and Lovely è sicuramente la summa perfetta dell’immaginario, della potenza espressiva, del senso artistico dell’autrice americana.
Educazione sentimentale stravolta, discesa in un inferno bucolico di depravazione, in una spirale semincestuosa di violenza, il film racchiude, facendole incrociare, scontrare, unire nella sconfortante desolazione di una fattoria del Kentucky, tre esistenze, tre personaggi, un padre brutale, una figlia sentimentalmente instabile e uno straniero lontano da casa.
In una rozza lirica rurale che risuona di un immaginario corrotto e depravato da profondo Sud, emerge il tocco folgorante, psicotico, a suo modo contemplativo, di una contemplazione discontinua e disturbata, della Decker. Nel mettere in scena una parabola acida e visionaria di perdizione sensuale, un trionfo disturbante dei sensi, l’autrice rende, in un melodramma che, a tratti, ha l’irruenza di una folgore, con un occhio ancora grossolano, acerbo, ma fortemente ispirato e personale anche nelle più evidenti cadute di stile, una condizione esistenziale, un turbamento dello spirito quanto, soprattutto, della carne. Con suggestioni che ricordano certo cinema underground americano, immagini degne del Lynch più perturbante, trovate registiche oniriche, spiazzanti e stranianti, dove il punto di vista della macchina da presa può disincarnarsi fino a disumanizzarsi nello sguardo vacuo di una mucca fuggitiva, la tensione esplode, stemperandosi, in parte, nello smarrimento visivo, nella potenza evocativa delle inquadrature, nell’irrealtà di una vicenda stravolta ed estrema.
La Decker, in un romanzo nerissimo di formazione al femminile, realizza quasi in una moderna e grottesca storia di streghe, in una cronaca di amore e morte, mette in scena un’esplosione dei sensi animalesca e sensibile, ammaliante e vergognosa. Scomponendo, sezionando, guardando da vicino, vicinissimo, senza paura, una natura corrotta, trasfigurata e “sporcata” dalle proiezioni dei suoi personaggi ormai perduti, costruisce, senza remore di sorta, un’impudica storia capace di farsi suo personalissimo, deviato e intimo manifesto poetico.

Mattia Caruso

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