Segnali di vita dal mio amico Arnold
Prologo: stanco, sofferente, sconfitto, un vecchio guarda il monitor di un pc, scorrono le immagini di sua moglie che viene giustiziata mentre lui, impotente da remoto, ha le mani e gli occhi legati. Sarebbe l’inizio di milleunmillesimo revenge movies, non fosse che il pensionato inane è Arnold Schwarzenegger nel pieno sfiorire della sua seconda vita cinematografica. A differenza del coevo Sylvester Stallone, che si è conservato benino sempre facendo (un certo) cinema, Schwarzy ha attraversato la palude della politica ricevendone ulteriore popolarità, ma anche tanti radicali liberi, sacche di adipe e crediamo anche emorroidi anabolizzate che ne compromettono la motilità in modo evidente. Per queste ragioni ed anche per saggio intuito suole affidarsi a registi che ne reinterpretino il mito in chiave crepuscolare e crossgender. Era già successo con Kim Ji-Woon nel pregevole The Last Stand, succede ora con David Ayer in Sabotage. Ayer fu attenzionato oltreoceano per il precedente End of Watch, manifesto definitivo dell’action POV sin dal titolo. In Sabotage conferma di essere un vero American Badass e gioca durissimo, in corto circuito tra visione iperrealistica e violenza parossistica. Non fa prigionieri, lascia sulle sue pellicole legioni di cadaveri, anche quelli degli sceneggiatori, che gli confezionano storie crivellate di buchi e passaggi impossibili. E’ un occhio non solo disturbato ma perturbante, incompreso dalla critica alta per via del suo linguaggio filmico originale, anche un po’ naif; in lui si può scorgere un endotelio corneale di Friedkin (che infatti lo adora), schizzi di Peckinpah e la solita diabolica passione per i truculenti filmacci degli anni 80; infatti gira Sabotage come un vero film degli anni 80, senza distacco critico né sarcasmo ma immergendosi nel politicamente scorretto e inzuppandosi di sangue di cattivi e di buoni , che poi ovviamente tanto buoni non sono. Ayer non avrebbe potuto fare di Sabotage un revenge movie classico, perché appunto Schwarzy ha già vendicato tutto il vendicabile umano e sovrumano; non avrebbe nemmeno potuto voltarlo in action movie, per l’impaccio del nostro già evidenziato, si è inventato quindi un b-noir brutto sporco e cattivo, un videogioco inteso come gioco-da-guardare, dove tutto si muove ma l’azione diretta del protagonista non c’è o è fuori campo, quello che succede è lontano da lui, che è attore-regista occulto che eteroinduce, mentre tutti gli altri personaggi mere macchine da scena che si sbronzano e cercano e sparano e tradiscono e si ammazzano. Il soggetto è piuttosto esile ma funzionale: una serie di omicidi efferatissimi decima i membri un commando speciale federale già indagato per furto e peculato, si sospetta che il nemico sia interno e non esterno, se ne ignora il movente, aleggia il narcotraffico. Arnold capeggia la squadra FBI nel mirino, un team di motherfuckers tanto schizzati e violenti da sembrare una gang (essi stessi giocano sulla ambiguità del concetto di gruppo in mancanza/presenza di una guida carismatica e di un obiettivo concreto). C’è una poliziotta piuttosto attempata ma infoiata che sospetta di Arnold poi ci finisce a letto, per stima più che per seduzione. Gli scannamenti sono tanti fantasiosi ed apparecchiati con fantasia, dal prologo summenzionato alla fine lirica in simil western, e Arnold è lì a guardare tutto ieratico come un olivo, compiaciuto bradicardico fino a quando gli tocca, ma proprio gli tocca di imbracciare rivoltelle e carabina, e allora finalmente si rianima, si toglie il cubano da mezzo ai denti e sparando e revolverando a destra e a manca ci regala l’ultimo, più che l’ennesimo, bodycounting. Sabotage è stato girato in quasi contemporaneità con Fury, dove un Ayer furioso e sanguinario come un Erinni si incarna in Brad Pitt, comandante alla guida di un tank americano in territorio tedesco nel crepuscolo apocalittico della seconda guerra mondiale. Abbiamo visto Fury in anteprima per ben sette volte di fila, siamo certi che i critici dalla faccia pulita acclameranno l’arrivo di un nuovo profeta. Noi, che siamo brutti e sporchi dentro, gli abbiamo già preparato il terreno.
Dikotomiko
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