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The Substance

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VOTO: 6

Eva contro Evina

Nel nome di David Cronenberg. Se proprio si vuole trovare un punto di partenza a The Substance si deve obbligatoriamente rivolgere lo sguardo al passato. Coralie Fargeat, all’opera seconda, pesca soprattutto l’idea tra le pieghe del cinema del maestro canadese e ne imita palesemente le scenografie, sospese tra squallore ed ipermodernità. Il risultato è un body-horror al femminile ricco di sangue e violenza com’è tipico della regista transalpina, per l’occasione al lavoro al suo primo lungometraggio girato in inglese. E non poteva essere altrimenti, dato che il Mito di Hollywood, almeno in partenza la fa da padrone, come testimonia la straordinaria sequenza iniziale, tutta raccontata – per introdurre il personaggio – sulla stella dedicata sulla Walk of Fame alla protagonista ex diva nella finzione Elisabeth Sparkle. La quale ha superato la sessantina venendo così licenziata dal programma televisivo di fitness di cui era immagine da tanti anni. Male. Perché in lei nascono insicurezze non troppo credibili (la interpreta Demi Moore del resto; quale donna non vorrebbe arrivare a sessant’anni in tali condizioni?) e in giro circola un farmaco sperimentale definiamolo “voluttuario” che offre una nuova giovinezza a chi lo usa mediante la creazione, a dir la verità abbastanza traumatica, di “un’altra lei” più giovane e bellissima. Purtroppo il gioco ha delle regole, puntualmente infrante. Il che condurrà a conseguenze varie, che non è il caso di spoilerare in questa sede.
Parte benissimo The Substance, curiosissimo premio per la sceneggiatura a Cannes 2024 e ora in visione alla Festa del Cinema di Roma 2024. Accumula istanze e riflessioni affascinanti su quanto si stia andando verso il primato dell’immagine, l’intelligenza artificiale, il maschilismo osceno, l’idiozia al potere (televisivo) ma anche oltre, estendendo il concetto. Poi il sangue che scorre, scaturito dalla violenza ma anche dalla nuova nascita, il concetto di maternità negato di fronte ad una società che incita alla rivalità piuttosto che alla tenerezza. Un quadro apocalittico che non può che risolversi con un’altra apocalisse, stavolta meramente personale, tra Elisabeth e la creatura che ha “partorito”, ovvero Sue, una fantastica Margaret Qualley bravissima e bellissima. In fusione reciproca con meritori effetti prostetici per il disgusto prevedibile del pubblico diegetico ed extra-diegetico.
In apparenza non manca nulla, a The Substance per diventare cult. Eppure sussistono molte cose che non vanno. In primo luogo la durata: due ore e venti per un’opera che spara le sue cartucce migliori in un’oretta scarsa, per poi arrancare paurosamente in cerca di svolte narrative assai poco verosimili, tipo il mancato omicidio della giovane Sue per mano della matrice Elisabeth. Da qui lo stupore per il premio cannense alla sceneggiatura, forse inteso a riconoscere le basi dell’idea piuttosto che il completo svolgimento.
Non si può poi certamente omettere il discorso sulla cornice pesantemente grottesca in cui è immerso The Substance: vorrebbe far satira a denti stretti ma l’ironia al nero funziona poco, togliendo anzi vigore alla storia, soprattutto a personaggi di contorno come il patetico produttore televisivo Denis Quaid, ridotto perlopiù a macchietta durante l’intera durata del lungometraggio. Se Cronenberg, punto di riferimento della regista, è sempre da considerare maestro anche nell’asciugare il materiale narrativo, al contrario la Fargeat gioca d’accumulo, stimolando nello spettatore possibili reazioni di rigetto. Magari volute, ma che in alcuni frangenti del plot suonano senz’altro al pari di note stonate. Tutto appariva più composto e coerente in Revenge (2017), ottima opera prima della regista. Bagni di sangue compresi.
In The Substance l’insieme sembra preordinato alla provocazione; con il risultato, talvolta, di annoiare, invece che far divertire, riflettere o inorridire. Magari andrà meglio la prossima volta.

Daniele De Angelis

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