Un film, tante storie
In che modo le vite di persone sconosciute possono intrecciarsi tra loro? Cosa devono vivere ogni giorno adulti e bambini che si trovano in situazione di conflitto bellico? E, soprattutto, cosa vuol dire sentirsi costantemente parte di una minoranza? Il regista e attivista statunitense Brandt Andersen si è sempre interessato di tali problematiche e questa volta, prendendo spunto direttamente da un testo di William Shakespeare, ha dato vita a un lungometraggio corale che cerca di fornire una panoramica il più esaustivo possibile riguardante le condizioni di chi si trova a vivere in prima persona le recenti guerre. Stiamo parlando di The Strangers’ Case, presentato in anteprima in occasione della 74° edizione del Festival di Berlino all’interno della sezione Berlinale Special.
Diviso in cinque episodi, dunque, The Strangers’ Case prende il via dalla storia di Amira (impersonata da Yasmine Al Massri), chirurgo infantile che si trova a soccorrere numerose persone durante un attacco ad Aleppo. Tornata a casa, la sua abitazione viene improvvisamente bombardata e, miracolosamente salvatasi, la donna riesce a trovare un modo per abbandonare la città insieme a sua figlia adolescente. Riuscirà nei propri intenti? La sua storia, ben presto, si collegherà a molte altre storie di adulti e bambini che, dalla Siria, abbracceranno la Turchia e, infine, la Grecia.
Siamo d’accordo: non è affatto semplice portare avanti un progetto del genere, soprattutto quando si tratta di dover gestire il sempre problematico genere corale (d’altronde, si sa, non tutti sono Robert Altman) e durante la visione del lungometraggio non possiamo non notare, di quando in quando, qualche “incertezza” da parte del regista stesso. Detto ciò, il presente The Strangers’ Case è comunque un film fortemente adrenalinico e crudo, che non ha paura di calcare la mano, senza risparmiarci momenti che colpiscono come un pugno allo stomaco. Un approccio registico classico, ma che prevede, allo stesso tempo, un copioso uso di camera a spalla e la netta prevalenza delle ombre sulle luci ben si rifà ai canoni di un cinema maggiormente mainstream che punta (anche) a una sostanziosa distribuzione nelle sale, grazie anche alla presenza, all’interno del cast, dell’ormai celeberrimo Omar Sy e dell’ex attrice feticcio di Yorgos Lanthimos Angeliki Papoulia.
Ed è, forse, proprio questo particolare approccio a far perdere, di quando in quando, di personalità al presente The Strangers’ Case. Brandt Andersen ce l’ha messa davvero tutta affinché tale storia (o, sarebbe meglio dire, tali storie) potesse arrivare allo spettatore in tutta la sua potenza comunicativa. Eppure, proprio tale particolare approccio, unitamente a un andamento narrativo con non poche forzature al proprio interno e a tratti anche decisamente sfilacciato, ha forse fatto perdere al tutto di verve, rendendo il presente lungometraggio un prodotto sì dagli intenti genuini, sì accattivante, ma che, anche a causa di una velata retorica, potrebbe inevitabilmente finire per confondersi tra i numerosi lungometraggi del genere che ogni anno vengono prodotti numerosi. Peccato.
Marina Pavido